lunedì 12 agosto 2013

Personaggio del mese: Anthony Muroni. Come ai tempi d'oro del giornalismo sardo.

La nostra classe dirigente è una sprovveduta Teti, che nell’immergere l’Italia nello Stige del progresso, ha trascurato più di un particolare. Ma se Achille doveva badare al suo solo tallone qui mala tempora currunt per uno stivale intero. Come da storica memoria è facile ricordare che nei momenti di crisi prostrante il popolo risponde con vivacità e ardimento intellettuale, così come avvenne durante il “Fausto cinquantennio” dell’Ottocento sardo. Così la penna onniveggente del celebre storico Raimondo Bonu denominò quel periodo intercorso tra gli anni Venti e Settanta del XIX secolo, in onore della migliore gioventù sarda che nell’ appassionata palestra della stampa dava voce e spazio all’ indimenticabile epopea del Risorgimento sardo. Il giornalismo e l’attività letteraria dell’Ottocento sardo lasciano progressivamente spazio ad una certa soporosa letargia culturale che dopo i rigori del regime fascista si avvia ad accomodarsi, eccetto validi esempi, sugli allori del benessere economico appena conquistato. Tuttavia, per quei pochi ma validi esempi di cui si diceva, vale ancora la pena acquistare libri e quotidiani in Sardegna. Con stile garbato, ma non ossequiente, Anthony Muroni, Direttore de “L’Unione Sarda”, libero d’animo e di penna,  fa venire in mente i tempi d’oro del giornalismo sardo, quello del quotidiano da battaglia politica, quello, per intendersi, che al giornalista pretendeva non solo di vergare con eleganza ma di spostare l’opinione pubblica con l’autorevolezza dell’umanista policulturale. Competenza tecnica, profondità critica, chiarezza e linearità espositiva si riflettono sullo scritto e sulla conduzione, contribuendo a definire l’inconfondibile stile “muroniano” che non manca di intarsiare la cronaca con soventi richiami alla storia patria, pronto ad un tempo a dare spazio alla narrazione delle tendenze della società e della cultura mondana. Reduce dal successo televisivo di “Dentro la notizia”, col suo caratteristico melting pot politico e culturale, sentiamo l’infaticabile intellettuale per parlare con lui de “Il sangue della festa” (Ethos Edizioni, 150 pagine,  ultima fatica letteraria, antecedente alle tre opere biografiche uscite in rapida successione in questi mesi) un suggestivo noir che si rinnova di continuo anche per la destrezza con cui l’autore ha saputo intrecciare i fili con  varietà di toni espressi dal piglio risoluto di una prosa sobria e succosa che non è forzata contemplazione lirica della Sardegna.
Il suo libro ha due anime, due caratteri  autonomi che si evincono già da un titolo in lingua italiana e sottotitolo in lingua sarda (Mortu in die nodida). La Sardegna di Giaime, trasferitosi per lavoro a Cividale, non è la Sardegna ammirata dal turista ma neanche la Sardegna delle fiaschette ad armacollo, delle cassa panche e dell’astore padrone della bonaccia e della tempesta. Qual è dunque la Sardegna di Giaime? E’ quella della mia prima giovinezza, trascorsa in Planaria. Quella della saggezza popolare, del paese che si fa famiglia allargata. Ma anche la Sardegna di oggi, con le sue difficoltà e le sue contraddizioni. La responsabilità del suo ruolo all’interno del quotidiano limita in qualche modo i suoi margini di manovra narrativa? Le due attività sono assolutamente scisse. Io mi sento libero quando faccio il giornalista e ancora di più quando mi diverto a scrivere. Il vantaggio è proprio quello di non essere un vero scrittore. Mi posso avvicinare al libro con la leggerezza dell’ hobbysta che cerca un po’ di evasione al suo quotidiano. La copertina del suo libro nasce da un simpatico concorso su Face Book. Che opinione ha dei social network da un punto di vista informativo? La mia presenza sul social network è caratterizzata proprio da un continuo scambio con i miei contatti. Mi confronto con loro non solo sulle questioni letterarie, che sono appunto un hobby, ma anche sul mio lavoro nel quotidiano più diffuso nell’Isola e nella televisione che ogni giorno tiene compagnia a quasi la metà dei sardi. Lei è molto giovane ma ha alle spalle diversi premi letterari tra cui la menzione speciale al prestigioso Premio Alziator. Se l’oro sale e scende come la fama degli uomini ai giornalisti di razza spetta una medaglia che non sia di metallo, che riconoscimenti merita oggi una pagina di valore? Non sono uno che bada a queste cose e non lo dico per falsa modestia. L’essere eccessivamente modesti non è infatti una virtù. Ma credo che i premi lascino il tempo che trovano. Il premio più bello, mi creda, è quello del confronto con i lettori: un complimento, così come una critica costruttiva, sono il più bel regalo per un giornalista professionista e uno scrittore dilettante, quale io sono. 

Ilaria Muggianu Scano

Nessun commento:

Posta un commento