Durante un noto Talent Baby
televisivo una bimba erompe in un pianto implacabile dopo la sentenza di uno
dei giurati in merito alla sua performance. Mentre la rete continua a
raccogliere insulti, curiosamente osserviamo come il Bel Paese sia forse
l’ultimo in Europa a denunciare il fenomeno dello stress da competizione dei
minori. Il ministro della Solidarietà francese Roselyne Bachelot, avvalendosi di
un’equipe di genitori e psicologi, ha preso in mano le redini della situazione
proponendo come attività scolastica la sensibilizzazione al “Diritto
all’infanzia”. L’allarme è arrivato anche d’oltremanica, dove il premier
inglese Cameron si espone veementemente contro la sessualizzazione precoce, con
il suo slogan: Let the Children be
Children (lasciamo che i bambini siano bambini). L’incipiente
surclassamento della bambola Barbie
dal mercato a favore delle più recenti Bratz,
iper femminili e provocanti, sembrerebbe suggerire che la figura dell’americana
bambolina nerd sia troppo impegnativa
davanti alla bambola dai labbroni e super ingioiellata, che sembra proporre
alla bambina scorciatoie di maggior successo sociale. Forse la nostra è solo
una delle ipotesi possibili ma sembra sempre più evidente che lo snodo capitale
del fenomeno sia esclusivamente di carattere economico: accorciare al minimo
canonico il lasso di età che distanzia la persona dall’essere bisognosa di
tutto (come in età infantile) all’essere acquirente, desiderare, chiedere e
soprattutto spendere. Il Portico cerca di dar luce alla questione con l’aiuto
della Psicoterapeuta dell’età evolutiva Gloria Putzolu. Oltre lo spettacolo anche il mondo dello sport è intriso di spirito
agonistico. Tanti bambini praticano uno sport e vivono serenamente lo spirito
di gara. Dove risiede, dunque la differenza? È fondamentale analizzare il
contesto sociale e culturale attorno al quale si sviluppa un certo interesse o
un certo hobby; il ruolo della famiglia e in particolare dei care giver. Vivere lo sport in maniera
agonistica di per sé non è negativo, lo sviluppo integrale del bambino infatti
deve passare anche attraverso l’impegno nel raggiungere determinati traguardi,
basta non viverli in maniera ossessiva, devono essere infatti accompagnati
dall’accettazione dei propri limiti, dal sapersi confrontare con una sconfitta,
con la conseguente sana frustrazione che ne deriva. Ciò dipende da come il
genitore fa vivere tutto questo al proprio figlio, facendolo sentire accettato
anche e soprattutto coi propri limiti. Cosa
si nasconde dietro il fenomeno, ormai evidente, dell'adultizzazione precoce? Una
delle spiegazioni, prima che in seno alla società, è da ricercarsi nella
famiglia. Le ambizioni di alcuni genitori possono falsare la demarcazione tra
realtà e finzione, tra oggettività e sogno, arrivando a vedere nei propri figli
dei geni del pianoforte o degli atleti da massacrare di quotidiani, faticosi
allenamenti. Tutto questo fa perdere all’attività i suoi obiettivi primari,
cioè far divertire, condividere, socializzare, crescere in armonia. Questo toglie
tempo al gioco puro e all’evasione, sacri diritti dell’infanzia. Perché l'abbattimento del limite temporale
tra mamme e figlie? Come incide tale atteggiamento della genitrice
sull'identità del bambino? Occorre stare attenti a non demonizzare tout
court un rapporto che potrebbe essere semplicemente d’armonia tra madre e
figlia, di confidenza”sana”, in una relazione che arricchisce entrambe, ciascuna
nel proprio ruolo, con confini distinti. I confini, detti in gergo, “diffusi”
creano i primi scricchiolii. Le madri non ancora svincolate dal proprio stato
di figlie possono indurre una realtà relazionale per così dire “triangolata”,
una dimensione disfunzionale, come accade in quelle famiglie che la letterature
definisce”a transazione schizofrenica”, quelle in cui uno dei genitori si allea
con i figli contro l’altro genitore. Gli
insegnanti della scuola primaria si trovano spesso a fare i funamboli semantici
per proporre un giudizio didattico che non leda la dignità del bambino ma gli
stessi genitori non battono ciglio davanti al gravame psicologico cui il figlio
è esposto in occasione di simili spettacoli. Che considerazioni sente di poter
fare in proposito? Stiamo parlando di genitori che dimostrano di non
conoscere i limiti del proprio bambino, la conseguenza è l’atto di caricare
eccessivamente il figlio di aspettative che, se disattese, provocheranno
frustrazione, con un ritiro (“non mi espongo così non sbaglio”) o, per contro, un
“andare contro” per reazione al fallimento (“faccio come voglio io, non come
vogliono i miei genitori”). Le due estremizzazioni possono portare a difficoltà
più o meno vaste e continuative.
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