ETERE O NON ETERE: IL TUBO CATTOLICO
Spiace ammetterlo, ma è divertente. Soprattutto per chi è nato a Firenze e la conosce bene, ma anche per chi ha visitato la città da turista. Durante la lettura – il libro di cui stiamo parlando è l’ultimo thriller storico-esoterico di Dan Brown Inferno (nella traduzione italiana: Milano, Mondadori, 2013, pagine 522, euro 25) – capita di imbattersi in passi dalla comicità involontaria davvero irresistibile. Gli indigeni, i pronipoti di Dante degli anni Dieci del Duemila descritti dall’autore, sono strani personaggi dalle abitudini incomprensibili: mangiano olive al forno e lampredotto a colazione, invadono con nuvole di fumo misto a pungente aroma di caffè espresso gli ascensori e in ogni singolo ambiente chiuso, ospedali compresi – i sopralluoghi dell’autore in Italia si sono svolti evidentemente prima dell’entrata in vigore della legge Sirchia – e riempiono di statue di uomini nudi la piazza più importante della città. Il professor Robert Langdon – lo stesso de Il codice da Vinci, Angeli e demoni, Il simbolo perduto – ne conta, sconcertato, almeno dieci: oltre alla copia del David di Michelangelo e al Biancone dell’Ammannati c’è persino una schiera di satiri accanto al Nettuno, in piazza della Signoria. Integralmente nudi, precisa con bizzarra pruderie.
Nota a margine per i non toscani: il lampredotto è uno dei quattro stomaci dei bovini, l’abomaso, che viene cotto a lungo con pomodoro, cipolla, prezzemolo, sedano e condito con salsa verde e olio piccante; un piatto povero tipico della cucina locale buonissimo ma inadatto ad accompagnare il cappuccino. Come le olive, del resto, più consone al Martini agitato, non mescolato di James Bond che a una colazione all’ombra del campanile di Giotto.
Sono davvero strani, dicevamo, questi fiorentini. Le autorità locali traggono in inganno i turisti con cartelli ambigui: la scritta «Porta del Paradiso» deve essere messa sulla Porta del Paradiso, ammonisce l’autore, non sull’inferriata di protezione, altrimenti i visitatori scambieranno il capolavoro dell’arte orafa famoso in tutto il mondo per un normale cancello come se ne trovano a migliaia in New England. Il Battistero è bellissimo, niente da eccepire, ma quanto a senso pratico, la popolazione locale non merita la sufficienza. Anche dai migliori, tra gli autoctoni, arrivano brutte sorprese, pure gli artisti più celebri commettono errori grossolani: Lorenzo Ghiberti è stato piuttosto bravo nel realizzare le formelle in bronzo dorato della porta, ma si è dimenticato un elemento essenziale come la maniglia.
Mentre si aggira fra dipinti e celebri statue, il nostro Robert descrive la città con la stessa quieta, rassicurante piattezza di una guida turistica tascabile. «La narrazione – chiosa perfidamente Monica Hesse, The Washington Post – sembra tratta da una guida Fodor’s, come quando Langdon si interrompe nel bel mezzo di una fuga, in un momento che potrebbe costargli la vita, per ricordare la storia di un ponte. È come cercare di risolvere un mistero mentre un’audioguida ti pende dalle orecchie: “Passate sopra questo corpo riverso e digitate 32 per conoscere i dettagli sulla scatola di velluto contenente la maschera mortuaria di Dante, nel Palazzo Vecchio”». Per ulteriori informazioni sugli orari del museo e i giorni di chiusura attendere il segnale acustico, grazie.
Il placido Robert si risveglia dal letargo e diventa improvvisamente sarcastico solo quando parla di temi che riguardano la Chiesa. Anche se l’azione si svolge a Firenze, continua a citare a ogni pie’ sospinto il Vaticano. La stessa Sienna Brooks, l’affascinante coprotagonista, non manca di notare la strana ossessione del suo compagno di avventure: siamo nel giardino di Boboli, che c’entra San Pietro? «Sienna non aveva idea di cosa c’entrasse il Vaticano con la loro situazione – si legge nell’edizione italiana a pagina 142, e il lettore non può che convenirne – ma Langdon prese ad annuire, continuando a guardare verso est e il retro del Palazzo». Miss Brooks, dotata di una buona dose di sensibilità oltre che di un abnorme quoziente di intelligenza, non approfondisce oltre. «Ad ogni poeta manca un canto», come si dice a Firenze, e Sienna è teneramente indulgente verso il suo Robert. Saggiamente il professor Langdon preferisce glissare sul tema quoziente di intelligenza e non far cenno al proprio, visto che nel corso della trama cade in ogni trappola possibile, dalle più banali alle più sofisticate, si fida sistematicamente delle persone sbagliate, controlla la mail dal primo portatile che gli capita a tiro fornendo le coordinate precise del suo nascondiglio ai suoi supertecnologici nemici («si può essere così stupidi?» si domanda a pagina 77 uno dei cattivi del libro, a capo del Consortium, una sorta di Spectre internazionale), cade nel più nero sconforto perché ha perso il suo amato orologio di Topolino, si perde in divagazioni erudite mentre un commando armato fino ai denti lo attende sotto casa, rischia l’attacco di panico perché non riesce a trovare una libreria aperta di lunedì – ma il giorno di riposo non era la domenica? Dove lo trovo un testo della Divina Commedia a Firenze? Ci sono i poster per turisti con il testo integrale, ma il carattere è troppo piccolo, tocca chiedere in prestito l’iPhone di una connazionale e sperare che accetti di pagare il costo dell’accesso a internet. Proviamo a fare un salto nella Chiesa di Dante, Santa Margherita de’ Cerchi, forse qualche citazione sui depliant per turisti, accanto alla (peraltro finta) lapide di Beatrice Portinari, riesco a rimediarla (sintesi libera ma realistica del testo).
Tornano in mente le parole della quarta di copertina: «È normale che a Firenze Robert Langdon sia di casa, che il David e piazza della Signoria, il giardino di Boboli e Palazzo Vecchio siano per lui uno sfondo familiare, una costellazione culturale e affettiva ben diversa dal palcoscenico turistico percorso in tutti i sensi di marcia da legioni di visitatori». Un’excusatio non petita che era meglio evitare. Ha uno strano modo di esternare il suo amore per l’arte, il professore di simbologia famoso in tutto il mondo: usa la fonte battesimale del “bel San Giovanni” come un lavandino, smacchia la maschera funebre di Dante con uno strofinaccio, danneggia in modo irreparabile L’Apoteosi di Cosimo i del suo amato Giorgio Vasari saltando incautamente da una trave all’altra – con killer al seguito ovviamente – nel controsoffitto del Salone dei Cinquecento. Ma forse è colpa dell’amnesia retrograda – vera o presunta? Naturale o indotta con dosi da cavalli di benzodiazepine? Non sveliamo di più – che rallenta provvisoriamente le prodigiose facoltà cognitive del professore, l’espediente narrativo su cui si regge praticamente tutta la complessa intelaiatura della trama. «Le parti iniziali di Inferno – scrive Janet Maslin su The New York Times – si avvicinano così tanto a un’auto-parodia che il signor Brown sembra aver perso se stesso come Langdon, che inizia il libro in un letto di ospedale». I cattivi, invece sono dotati di super poteri e facoltà visive eccezionali: il genio della biologia svizzero Bertrand Zobrist, leader del movimento Transumanista, riesce a guardare negli occhi per un ultimo struggente congedo dalla vita il suo amato bene – che lo aspetta in strada, vicino al Bargello – dal campanile della Badia fiorentina, a settanta metri da terra. Senza binocolo, naturalmente.
Ma Firenze non è l’unica location del libro. Il rapido precipitare degli eventi — una rocambolesca caccia al tesoro, che, per quanto scombinata e ribaltata da colpi di scena poco credibili e troppo frequenti riesce comunque ad agganciare l’attenzione del lettore – porta Robert e Sienna a bordo di un treno diretto al nord. La città cambia ma l’ipersensibilità olfattiva continua, accompagnata da altre incongruenze gastronomiche: Langdon si accorge di essere a Venezia grazie all’inequivocabile profumo di seppie al nero che aleggia costantemente sui canali, più forte della salsedine e dell’odore di nafta dei vaporetti. Chissà quale sito in stile tripadvisor avrà dato origine a un copia-incolla così surreale. Ma la vera domanda è: possibile che passi simili abbiano superato il filtro di un plotone di editor e il senso critico dell’équipe di traduttori disposti a lasciarsi chiudere in un bunker per mantenere il segreto sul testo fino all’ultimo minuto? Misteri dei best-seller contemporanei.
Gli errori storici non mancano e c’è chi si è già preso la briga di elencarli tutti, ma in fondo i thriller di Dan Brown sono una lettura da spiaggia senza pretese, e in questo caso la Commedia di Dante è solo un pretesto narrativo, una scenografia dipinta a tinte forti per facilitare il lavoro agli sceneggiatori che porteranno ben presto Inferno sul grande schermo.
Quello che produce un leggero fastidio sono le prediche eugenetiche contenute in un libro che simpatizza apertamente con il cattivo, uno scienziato pazzo che ha perso il lume dell’intelletto perché incompreso dalle ottuse menti oscurantiste dei contemporanei. Uno psicopatico pericoloso che però, in realtà – secondo la quasi totalità dei personaggi, e quindi anche secondo l’autore – ha ragione.
I transumanisti di Bertrand Zobrist sono l’ennesimo travestimento del “super uomo” di Nietzsche, unito in un cocktail letale per il lettore a deliri malthusiani sui pericoli della sovrappopolazione, ampiamente confutati già dalla fine del Settecento ma citati come scientificamente attendibili. «Il fine giustifica i mezzi» spiega l’autore, attribuendo ovviamente la frase a Machiavelli anche se nei testi dello scrittore toscano non c’è, come si può comodamente leggere su Wikipedia; quel che è certo è che l’umanità, secondo quella ristretta élite che si sente autorizzata dalla propria presunta superiorità a decidere per il bene di tutti, deve essere drasticamente sfoltita, epurata, selezionata. Le guerre in corso non bastano, servirebbe una bella epidemia globale. Peccato che la peste nera sia un ricordo del passato (o forse no, se la tecnologia lo consente). Tutto si fonda sulla convinzione che l’uomo è un essere “sbagliato” da riprogrammare; il fatto che gradisca o meno di essere riprogrammato è un dettaglio irrilevante. Viene ribadito più volte, nel corso del libro, il disprezzo per il gregge umano che non accetta di essere migliorato, e per quelle masse ottuse che si ostinano inesplicabilmente ad amare la vita, a fidarsi di quello che vedono e vivono tutti i giorni piuttosto che dar credito a schemi matematici astratti, basati su presupposti sbagliati e più volte smentiti dalla storia. Una propaganda, questa sì, davvero virale e tossica, che suona grottesca e fuori tempo massimo nel lungo inverno demografico che ha colpito buona parte dell’Europa e del mondo.
Attraverso il personaggio del Rettore – un cattivo un po’ meno cattivo degli altri – l’autore sembra quasi descrivere, consapevolmente o meno, se stesso. «Io mi guadagno da vivere con l’inganno. Io fornisco disinformazione» dice il capo del Consortium mentre veleggia al largo dell’Italia a bordo dello yacht Mendacium (nomen omen) preoccupato dalla punizione karmica che si abbatte su chi frequenta troppo spesso la mistificazione. «Il Rettore non era certo l’unico al mondo a fabbricare menzogne (…) Che si trattasse di sostenere un mercato azionario, giustificare una guerra, vincere un’elezione o stanare dei terroristi, i mercanti di potere si affidavano a programmi di disinformazione di massa per plasmare l’opinione pubblica. Era sempre stato così».
Qualche battuta davvero spiritosa c’è nelle 522 pagine del libro, come l’allegro cinismo dell’editor americano Jonas Faukman, un personaggio che purtroppo fa un’apparizione fugace: «Non abbiamo a disposizione jet privati per gli autori di tomi sulla storia delle religioni – spiega Faukman rispondendo alla richiesta di aiuto di Langdon che lo ha tirato giù dal letto alle quattro di mattina, incurante dei fusi orari – Se hai intenzione di scrivere Cinquanta sfumature di iconografia ne possiamo parlare».
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