“Sono un uomo di mondo…ho fatto tre anni di
militare a Cuneo”. Sono tante le
perifrasi-tormentone di Totò entrate nel linguaggio comune ma quella
particolarmente cara ai cagliaritani è senz’altro quella nata nel contesto
delle vessazioni militari vissute in prima persona nel periodo pre bellico in
cui l’attore si chiede se “Siamo uomini o caporali?”, e con un perfetto
controllo dell’arte dei guitti, con la caratteristica comicità surreale e
irriverente, è pronto a sbeffeggiare i potenti quanto a esaltare i bisogni
umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale ma soprattutto a
manifestare la propria intolleranza
grave verso parvenue di ogni risma, nel preciso intento di menar gramo a tutti
i Balanzoni del Belpaese. Siamo a Cagliari, Anno del Signore 1938, le luminarie
in Piazza Defenu, la gimcana motociclistica al Campo Dux e le acrobazie nei
cieli della squadriglia aerea di Elmas sono da settimane messe a punto per
salutare l’incontro nell’Urbe di Hitler e Mussolini: Totò è ancora lo scugnizzo
napoletano del rione Sanità, da qualche mese appena legittimato dalla paternità
del principe Giuseppe De Curtis, tuttavia quando viene a Cagliari ha già
all’attivo una prima produzione cinematografica “Fermo con le mani!” in cui
arriva a prendere in giro il Duce. L’episodio non rimarrà privo di conseguenze.
Riconosciuto monarca del doppio senso brillante e del gusto del paradosso
esplode in prodezze offensive al pari di
quelle difensive, ma durante il Ventennio la critica non è appena una vezzosa
schermaglia intellettuale e in caso di dissenso il piombo del linotype rischia
di passare a quello molto meno metaforico della censura fascista. Reduce da una
tournèe a Massaua e in altre città africane, Totò arriva a Cagliari con la sua
“Compagnia di fantasie comiche”, quando Hitler e Mussolini si sono appena
incontrati a Roma per “suggellare il patto di collaborazione tra due razze
create per intendersi”. Inaugurando l’Arena Odeon di via Garibaldi con un
copione gustosamente ironico, “Dei due, chi sarà?”, il comico napoletano
disegna un personaggio soltanto in apparenza ossequiente alle mode diffuse. Da
buon cantore di usi e costumi dello Stivale non può ignorare il valore del
ludus nella vita dell’italiano medio, men che meno del sardo trovandosi nel
cuore del capoluogo di cui velocemente intercetta verve e sarcasmo, ottimo pane
per i suoi denti. L’inafferrabile carica eversiva di Totò arriva a prendere in
giro gerarchi e ducetti nell’idioma locale ma il climax roboante è raggiunto
con la battuta sarda al fulmicotone “T’happu frigau, o balossu!”, captata in is prazzas durante il suo rituale giro
per dare cibo a cani e gatti randagi. Se il regime aveva reso i satirici dei
tristi menestrelli dalla bocca stringata Totò con l’abilità del guitto
continuava a trasformare creature terrene destinate a sorti terrene in creature
mitiche destinate a sorti mitiche in un affresco dell’Italia popolare, delle
sue origini, i suoi drammi, le vittorie e le pagine da dimenticare.
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