sabato 31 agosto 2013

Non chiedetemi di difendere un partito, una coalizione, chiedetemi di difendere la Sardegna


“Se ogni Sardo venisse a sapere quello che lo Stato sta facendo contro il Popolo Sardo, la Sardegna potrebbe diventare una polveriera” anticipa  con intento giacobino, sui social network, il deputato sardo Pdl Mauro Pili, a qualche ora dall’aut aut al partito in cui  dichiara perentoriamente il proprio passaggio all'opposizione in Parlamento se entro 30 giorni non ci sarà la revoca della convenzione con la Tirrenia e l'attuazione del decreto sull'insularitá.
La richiesta è rivolta direttamente al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio. In ballo c'è anche l'attuazione del decreto attuativo per il riequilibrio insulare della Sardegna. Qui le parole del Presidente del movimento Unidos:


“I Sardi, secondo lo Stato, devono pagare molto più dei non residenti per viaggiare con la Tirrenia. Una discriminazione razziale degna di uno Stato coloniale che sta attuando verso la Sardegna una strisciante secessione al contrario. Tutto ciò con la complicità di troppi e il silenzio di altrettanti. La convenzione con la Tirrenia deve essere revocata immediatamente per “supremo interesse pubblico”. E il Capo dello Stato non può più stare a pontificare, deve esercitare tutto il suo potere per evitare che la Sardegna diventi una polveriera. In pericolo sarà messa l’unità nazionale se i sardi reagiranno come devono a questa ingiustizia senza precedenti. Il Popolo Sardo dinanzi a queste violente discriminazioni deve reagire senza se e senza ma, senza bandiere e colori politici. Aver previsto che per due terzi dell’anno i cittadini sardi in alcune rotte ( le più importanti ) siano costretti a pagare più dei cittadini residenti dall’altra parte dell’Italia è un’offesa grave e inaudita. Ed è gravissimo che non sia mai stato approvato il decreto attuativo per riequilibrio del divario insulare previsto con l’art.22 della legge delega del 2009 sul federalismo fiscale. E’ una palese violazione costituzionale che mira a cancellare la specialità della Sardegna e a mantenere inalterati i divari insulari che mettono in ginocchio l’economia dell’isola e creano ogni giorno di più migliaia di disoccupati”.

Lo ha detto stamane Mauro Pili, dando il via, insieme a numerosi amministratori giunti stamane da tutta l’isola nella centrale piazza Yenne a Cagliari, ad una grande mobilitazione popolare che punta a raccogliere in un mese 100.000 firme per chiedere al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio due provvedimenti fondamentali per il futuro della Sardegna: la revoca della convenzione della Tirrenia per violazione del “supremo interesse pubblico” e l’adozione del decreto attuativo per il riequilibrio insulare della Sardegna. Nel corso della mobilitazione sono in programma 100 incontri pubblici in tutti i centri dell’isola per un’azione capillare in grado di raccogliere le adesioni del maggior numero dei sardi.

“Per quanto mi riguarda sono pronto a tutto, - ha detto Pili - per contrastare in tutti i modi Stato e Governo che continuano a discriminare la Sardegna. Non è sufficiente opporsi e votare contro in Parlamento, bisogna che sia il Popolo Sardo a mobilitarsi con una ribellione senza precedenti. Se lo Stato e il Governo sono sordi, noi dobbiamo trovare il modo per farci sentire in tutti i modi. Al Capo dello Stato chiediamo di intervenire per eliminare queste gravi discriminazioni contro il popolo sardo e al Governo chiediamo non tavoli e riunioni ma decisioni concrete entro trenta giorni. Per quanto mi riguarda non avallerò un giorno di più maggioranze e appartenenze nazionali se non arriveranno risposte concrete per la Sardegna”.

                                                                           “I sardi costretti a pagare molto di più dei non residenti. Sulla Olbia- Genova si consuma il più grande imbroglio della storia autonomistica ai danni della Sardegna e dei Sardi. I sardi con Tirrenia, secondo la convenzione, pagano 22 euro in più a tratta per la “media stagione” e 32 euro in più per l’alta stagione. Prigionieri in casa nostra con una tariffa che ci punisce per essere sardi, e per essere residenti nella nostra terra. Tutto questo è semplicemente scandaloso. E’ un sequestro di persona con tanto di estorsione. Si ledono i diritti elementari del cittadino e si minano i diritti costituzionali. Occorre una reazione forte senza precedenti. Se lo Stato non cancellerà questa gravissima discriminazione non ci resta che passare alle vie di fatto. Ricorso immediato alla Corte di giustizia europea e a tutti gli organismi internazionali che possano intervenire su una discriminazione senza precedenti nei confronti del Popolo Sardo. Per quanto mi riguarda questa convenzione nata a cavallo tra i governi di centro sinistra e centro destra deve essere revocata perché è un oltraggio al buon senso e al diritto. Oggi che l’atto notarile, invece, riporta la firma in calce a quell’atto tutto è certificato. Si tratta di un atteggiamento grave e doloso, perché nonostante la denuncia di allora, non è stato fatto niente per evitare tutto questo”.

“Basta con tardive e inefficaci trattative con Tirrenia. In base all’art.15 della convenzione la stessa deve essere revocata immediatamente - sostiene Pili. L’unica strada possibile è quella della revoca della convenzione proprio per i contenuti lesivi dell’interesse pubblico, discriminatori nei confronti del popolo sardo e soprattutto gravissimo limite alla crescita e allo sviluppo economico dell’isola”.


“Allo stesso tempo il governo deve varare con urgenza un decreto per il riequilibrio insulare della Sardegna. E’ previsto dalla legge delega sul federalismo fiscale e non possiamo aspettare oltre. In questi ultimi quindici anni la Sardegna è stata discriminata con cifre irrisorie sul piano infrastrutturale. Basti solo un esempio un cittadino della Calabria ha avuto una quota procapite di infrastrutture pari a 23.000 euro, un cittadino sardo appena 3.400 euro. Il problema non sono i soldi ma la discriminatoria ripartizione dei fondi a scapito della Sardegna. Abbiamo predisposto un piano preciso e puntuale che presenteremo nei prossimi giorni, lo abbiamo presentato alla camera dei deputati. Quella proposta di legge che prevede investimenti di riequilibrio di 2 miliardi all’anno per dieci anni, la zona franca, l’imposizione dell’onere del servizio pubblico su trasporti aerei e marittimi, merci e passeggeri, per l’energia, dai carburanti all’elettrico, con interventi di riequilibrio nei settori produttivi, dall’agricoltura all’agropastorizia deve diventare – ha detto Pili - decreto entro un mese oppure io vado all’opposizione, con tutto quello che ne consegue”.

giovedì 29 agosto 2013

Intervista a Graziano Mesina (Ilaria Muggianu Scano - Mario Fadda)


Un giorno con "Lionora"


Iomàn: il diario della Mandorla Amara. La nostra prima creatura editoriale


Intervista a Flavio Soriga


Intervista a GianFranco Zola


Intervista a Lino Banfi


Intervista a Padre Mariano Asunis


Intervista al Generale Nicolò Manca


Crisi ti sistemo io. L’imprenditoria giovanile ai tempi dei social network.

 Talvolta le difficoltà permettono di rimescolare le carte per trarne miglior gioco ma, ed è davvero liberatorio poterlo dire, la fortuna c’entra veramente poco, o almeno non quanto la pervicacia e l’intelligenza miste a quel senso pratico che ti suggerisce di non disfarti ma degli “amabili resti” esperienziali. Lo sa bene Alessandra Botta, giovanissima sulla carta ma con un piccolo impero imprenditoriale tra le dita. Dopo gli studi di Biologia decide di dare una svolta alla propria vita deponendo l’eventualità di un percorso accademico, sceglie l’imprenditoria e inizia precocemente a lavorare con successo e profitto nel mondo della cura di se. I risultati arrivano, sono costanti, tanto da alimentare un ardito progetto che ha sempre meno dell’onirico: la libera professione, in proprio. La giovane imprenditrice, dopo aver conquistato il nuovo titolo professionale decide di acquistare uno spazioso appartamento in una centralissima via della città di Pirri (via Leandro Corona 13) e, tutta sola, sobbarcandosi anche il complesso di pratiche burocratiche che avrebbero scoraggiato anche il più ardimentoso dei ragionieri, da vita al Centro benessere “Ali di Bellezza” , vero angolo relax per un numero sorprendente e sempre crescente di persone e curiosamente tanti ragazzi attenti al proprio benessere e cura fisica. Il tam tam pubblicitario, realizzato, ad onor del vero sempre secondo criteri di compiutezza e di gusto e neppure troppo pressante, procede tramite i social più tradizionali, facebook ed Instagram, e mentre Alessandra schiaffeggia gli analisti che si preoccupano di minacciarci con dati sempre più deprimenti (12, 2 % il tasso di disoccupazione giovanile in Italia) gli affari, tra alterne vicende, vanno progressivamente migliorando tanto da compiere un bilancio strabiliante di questo primo anno da imprenditrice. Questa è la Sardegna che ci piace narrare, grazie Alessandra!

D: Ad un anno esatto dal tuo grande traguardo, puoi tracciare un velocissimo bilancio?
R:Come per qualsiasi nuova attività il primo anno è il più difficile, in quanto c'è l'impatto della novità. Io riesco a vederlo solo in positivo: non mi aspettavo una crescita così rapida e una curiosità crescente sia verso le nuove tecnologie che verso i supporti manuali, ossia i prodotti. Devo ammettere che un anno è volato, e ora ci ritroviamo alle porte del secondo anno con una carica ed energia completamente nuove, pronta ad essere sorpresa da questo prossimo anno.
D: Qual è il tuo prossimo ambizioso obiettivo?
R: Ci sono tanti obiettivi, senza obiettivi non ci sarebbe crescita. Indubbiamente il primo obiettivo si traduce brevemente nel superare in tutto e per tutto l'anno che si sta appena concludendo, una sorta di gara con me stessa dove la meta non è tanto "fare di più rispetto alla concorrenza" ma dare un servizio sempre migliore e aggiornato alle mie clienti.
D: Novità all’interno del centro?
R: La news fresca fresca in occasione dell'anniversario è l'inserimento della Luce Pulsata per la risoluzione progressivamente definitiva del problema dei peli superflui, che ricordiamo, è un trattamento che necessita di costanza e pazienza, ma che da i suoi risultati!!! Vi invito a riguardo a seguirci tramite facebook mettendo "Mi piace" sulla pagina Ali di Bellezza per ricevere promozioni e scontistiche vantaggiose. Oltre l'inserimento di questa immancabile tecnologia, seguirà come dicevo prima l'integrazione di nuovi trattamenti sempre più specifici e mirati a combattere gli inestetismi più comuni.
D: La pubblicità, oggi come in passato, è l’anima di ogni dinamismo economico: Come realizzi la tua promozione?
R: Generalmente ogni mese è dedicato ad una promozione diversa, in modo da accontentare tutte le preferenze. I canali di diffusione sono sia la pagina facebook Ali di Bellezza, sia (a partire dal 1 Settembre) il nostro nuovo sito alidibellezza.com oltre ovviamente ai volantini che vengono consegnati in istituto alle clienti abituali e non. Quindi a partire dal 1 Settembre vi invitiamo a visitare la pagina ufficiale alidibellezza.com!!!

 

martedì 20 agosto 2013

Battesimo d'eccellenza per la nuova opera letteraria.

Non può che suscitare commozione il pensiero di arrivare nella Biblioteca del Santo Padre. Non può che incoraggiare per il futuro vedere tanto valorizzata la fatica della propria Ricerca storico scientifica. Grazie. Grazie di cuore.

venerdì 16 agosto 2013

TABLET.UNA SCUOLA SENZA LIBRI.COSA CI ASPETTA

A scuola senza libri. Tutto il nostro sapere affidato a un tablet. Ambizioso progetto quello di alleggerire le cartelle di bambini e adolescenti dei pesanti diluvi cartacei che hanno costretto generazioni di task force multicolor a camminare curvi sotto il peso di zainetti, indubbiamente glamour ma decisamente dannosi alla colonna vertebrale in crescita. Forse non è completamente utopistico pensare un’Italia un po’ più moderna, funzionale, e diverte ancor più  l’idea di farlo dai banchi della Scuola pluri vituperata per le sue vistose carenze, dal precariato al caro-libri. Collodi probabilmente avrebbe storto il naso al pensiero di una scuola senza più un libro, degna del suo paese dei balocchi, ma il progetto Book in progress in realtà offre scenari da non sottovalutare sotto il profilo dell’ottimizzazione del rendimento scolastico dei nostri ragazzi. Anche i peggiori misoneisti di area tecnologica sembrano affascinati all’idea di un’innovazione forse pari alla diffusione dell’apparecchio televisivo anch’esso connesso - prima del suo uso deteriore – ai migliori propositi di alfabetizzazione e comunicazione.  In cosa consiste concretamente il progetto? Gli insegnanti elaborano delle dispense i cui contenuti sono adatti ai ritmi di apprendimento dei propri allievi e l’attenzione al percorso umano dello studente è facilitato anche da un punto di vista economico perché i testi redatti dai docenti convergono in un tablet, la cui spesa viene effettuata un’unica volta nell’arco dell’intera carriera scolastica, a fronte dei consueti 400 annuali, mediamente richiesti alle famiglie italiane per la dotazione libraria dei propri ragazzi in prima superiore. Importante però sottolineare che affidare un oggetto tecnologico ad uno studente giovanissimo non è sufficiente, occorre fornire un contenuto e soprattutto un  preciso progetto di apprendimento, in alternativa saremmo dinnanzi all’ennesima Play Station,  DS e compagnia ludicheggiante. Sembrerebbe un panorama didatticamente idilliaco ma occorre esaminarne ogni risvolto. Se è vero che i ragazzi possono a buon diritto esser definiti “nativi digitali” la mediazione culturale dell’insegnante è investita di una responsabilità in più. Il docente deve entrare nell’ottica di una nuova comunicazione e trasmissione del sapere. Dunque la tecnologia batte trionfalmente gessetti e cimosa e offre nuove sfide e stimolanti quid nel campo della conoscenza e del proprio apprendimento. Sorge però un nuovo problema. Le competenze informatiche dei ragazzi non rischiano di tagliare fuori dal percorso di formazione scolastica i genitori più attempati? I pionieri del progetto assicurano che l’ostacolo può essere superato con un po’ di buona volontà e serietà da parte della famiglia. Tra gli aspetti più vantaggiosi del progetto è la possibilità da parte degli alunni assenti per valide ragioni, di poter seguire da casa la lezione in video conferenza, poter porre quesiti all’insegnante, intervenire ed essere perfino interrogato.

Il progetto Book in Progress è completamente autofinanziato, esso si avvale del grande risparmio che di anno in anno viene assicurato alla famiglia degli studenti, la quale si ritrova a dover fronteggiare l’acquisto dell’apparecchio la cui spesa, a conti fatti, è perfettamente ammortizzata nel tempo. Apri pista del progetto una modesta scuola della periferia di Brindisi con a capo il Preside Salvatore Giuliano che, incurante dell’ilare omonimia e della totale assenza di finanziamenti pubblici, ha raggiunto uno dopo l’altro gli obiettivi che si era imposto è ha contribuito a far guadare la scuola italiana da fiumi d’inchiostro da calamaio a panorami più avveniristici in cui, tuttavia, non è obliterato il fattore umano. E da noi in Sardegna? Vi aggiornerò nei prossimi articoli. Stay tuned. 

giovedì 15 agosto 2013

IN MY HUMBLE OPINION

    elaborazione grafica: Mario Fadda

IL VOTO DEI CATTOLICI

Oggi sui media sta girando un’analisi scritta dal vaticanista Aldo Maria Valli intorno all’oggetto. Mi pare utile portare un piccolo contributo per migliorare la comprensione degli eventi che stiamo vivendo.
Anzitutto, e per fortuna nostra, don Sciortino direttore di Famiglia Cristiana, che scrive anatemi contro Berlusconi e i cattolici che lo votano, ha un seguito sempre minore, proprio tra i cattolici, che come categoria politica sono scomparsi dall’agone politico qualche decennio fa, proprio a seguito del Concilio Vaticano 2°, i cui proclami sono stati interpretati come “un sciogliete le righe” generalizzato. All’epoca era di moda essere contro la dottrina della Chiesa cattolica, contro le gerarchie della stessa, per la libertà di tutto e su tutto. Lì è cominciato il declino, con lo svuotamento dei seminari diocesani e la fuga dal celibato di migliaia di consacrati.
Il gregge si è disperso dove ha trovato ovili accoglienti.
Ricordo con sgomento come un direttore dell’Avvenire, certo Raniero La Valle, fondò addirittura un movimento politico dentro al “glorioso” Partito Comunista Italiano, dal nome quanto mai suggestivo: Cattolici per il Comunismo.
Oggi stiamo vivendo le conseguenze di quelle interpretazioni fantasiose dei deliberati del Concilio. La Fede non si è fatta cultura di massa, anzi è stata in gran parte ostacolata anche dalle gerarchie. Per fortuna, nostra, lo Spirito soffia dove vuole e così si sono formati i vari Movimenti Ecclesiali, che hanno cominciato a raccogliere i credenti e a portarli in un alveo di Fede vissuta. È vero, hanno dovuto soffrire non poco grazie agli ostacoli di certe gerarchie, altri che si stanno formando seguiranno la stessa sorte, ma alla fine Cristo e i suoi fedeli seguaci trionferanno. Saremo sempre e comunque un piccolo gregge.
Ma, ritornando al tema principale sul voto politico dei cattolici, quali sono le aspettative degli “illuminati” che lavorano contro il voto dei cattolici al partito di Berlusconi? Quali sono le proposte alternative che mettono in campo? 
Ormai i cattolici che frequentano le liturgie sono ridotti a meno del 10% della popolazione, questo è un dato certo. Quale massa critica possono rappresentare? E questo 10% vota di tutto al momento delle elezioni, ci sono cattolici che votano ancora comunista, come quelli che votano lega, come quelli che votano PD e PDL e destra. Allora, qual’è la sostanza del contendere?
A me sembra che la polemica dei vari “illuminati” cattolici antiberlusconiani sia destinata a risolversi in un vuoto pneumatico senza ritorno. Poi, sinceramente, ma questi cosa propongono in termini di progetto politico per l’Italia e per l’Europa?
Finché si limitano ad argomentare contro qualcuno non avranno certo seguito a livello di massa. Dovrebbero sviluppare un ragionamento con delle strategie politiche, e queste mi sembra manchino totalmente nelle loro analisi. Da CulturaCattolica

mercoledì 14 agosto 2013

L'adultizzazione precoce. L'opinione della Psicoterapeuta dell'età evolutiva

Durante un noto Talent Baby televisivo una bimba erompe in un pianto implacabile dopo la sentenza di uno dei giurati in merito alla sua performance. Mentre la rete continua a raccogliere insulti, curiosamente osserviamo come il Bel Paese sia forse l’ultimo in Europa a denunciare il fenomeno dello stress da competizione dei minori. Il ministro della Solidarietà francese Roselyne Bachelot, avvalendosi di un’equipe di genitori e psicologi, ha preso in mano le redini della situazione proponendo come attività scolastica la sensibilizzazione al “Diritto all’infanzia”. L’allarme è arrivato anche d’oltremanica, dove il premier inglese Cameron si espone veementemente contro la sessualizzazione precoce, con il suo slogan: Let the Children be Children (lasciamo che i bambini siano bambini). L’incipiente surclassamento della bambola Barbie dal mercato a favore delle più recenti Bratz, iper femminili e provocanti, sembrerebbe suggerire che la figura dell’americana bambolina nerd sia troppo impegnativa davanti alla bambola dai labbroni e super ingioiellata, che sembra proporre alla bambina scorciatoie di maggior successo sociale. Forse la nostra è solo una delle ipotesi possibili ma sembra sempre più evidente che lo snodo capitale del fenomeno sia esclusivamente di carattere economico: accorciare al minimo canonico il lasso di età che distanzia la persona dall’essere bisognosa di tutto (come in età infantile) all’essere acquirente, desiderare, chiedere e soprattutto spendere. Il Portico cerca di dar luce alla questione con l’aiuto della Psicoterapeuta dell’età evolutiva Gloria Putzolu. Oltre lo spettacolo anche il mondo dello sport è intriso di spirito agonistico. Tanti bambini praticano uno sport e vivono serenamente lo spirito di gara. Dove risiede, dunque la differenza? È fondamentale analizzare il contesto sociale e culturale attorno al quale si sviluppa un certo interesse o un certo hobby; il ruolo della famiglia e in particolare dei care giver. Vivere lo sport in maniera agonistica di per sé non è negativo, lo sviluppo integrale del bambino infatti deve passare anche attraverso l’impegno nel raggiungere determinati traguardi, basta non viverli in maniera ossessiva, devono essere infatti accompagnati dall’accettazione dei propri limiti, dal sapersi confrontare con una sconfitta, con la conseguente sana frustrazione che ne deriva. Ciò dipende da come il genitore fa vivere tutto questo al proprio figlio, facendolo sentire accettato anche e soprattutto coi propri limiti. Cosa si nasconde dietro il fenomeno, ormai evidente, dell'adultizzazione precoce? Una delle spiegazioni, prima che in seno alla società, è da ricercarsi nella famiglia. Le ambizioni di alcuni genitori possono falsare la demarcazione tra realtà e finzione, tra oggettività e sogno, arrivando a vedere nei propri figli dei geni del pianoforte o degli atleti da massacrare di quotidiani, faticosi allenamenti. Tutto questo fa perdere all’attività i suoi obiettivi primari, cioè far divertire, condividere, socializzare, crescere in armonia. Questo toglie tempo al gioco puro e all’evasione, sacri diritti dell’infanzia. Perché l'abbattimento del limite temporale tra mamme e figlie? Come incide tale atteggiamento della genitrice sull'identità del bambino? Occorre stare attenti a non demonizzare tout court un rapporto che potrebbe essere semplicemente d’armonia tra madre e figlia, di confidenza”sana”, in una relazione che arricchisce entrambe, ciascuna nel proprio ruolo, con confini distinti. I confini, detti in gergo, “diffusi” creano i primi scricchiolii. Le madri non ancora svincolate dal proprio stato di figlie possono indurre una realtà relazionale per così dire “triangolata”, una dimensione disfunzionale, come accade in quelle famiglie che la letterature definisce”a transazione schizofrenica”, quelle in cui uno dei genitori si allea con i figli contro l’altro genitore. Gli insegnanti della scuola primaria si trovano spesso a fare i funamboli semantici per proporre un giudizio didattico che non leda la dignità del bambino ma gli stessi genitori non battono ciglio davanti al gravame psicologico cui il figlio è esposto in occasione di simili spettacoli. Che considerazioni sente di poter fare in proposito? Stiamo parlando di genitori che dimostrano di non conoscere i limiti del proprio bambino, la conseguenza è l’atto di caricare eccessivamente il figlio di aspettative che, se disattese, provocheranno frustrazione, con un ritiro (“non mi espongo così non sbaglio”) o, per contro, un “andare contro” per reazione al fallimento (“faccio come voglio io, non come vogliono i miei genitori”). Le due estremizzazioni possono portare a difficoltà più o meno vaste e continuative.






martedì 13 agosto 2013

André Comte-Sponville

CONTRO IL LOGORIO DEL LAICISMO MODERNO

A DAN BROWN "MA CI FACCI IL PIACERE"

ETERE O NON ETERE: IL TUBO CATTOLICO

inferno-dan-brownSpiace ammetterlo, ma è divertente. Soprattutto per chi è nato a Firenze e la conosce bene, ma anche per chi ha visitato la città da turista. Durante la lettura – il libro di cui stiamo parlando è l’ultimo thriller storico-esoterico di Dan Brown Inferno (nella traduzione italiana: Milano, Mondadori, 2013, pagine 522, euro 25) – capita di imbattersi in passi dalla comicità involontaria davvero irresistibile. Gli indigeni, i pronipoti di Dante degli anni Dieci del Duemila descritti dall’autore, sono strani personaggi dalle abitudini incomprensibili: mangiano olive al forno e lampredotto a colazione, invadono con nuvole di fumo misto a pungente aroma di caffè espresso gli ascensori e in ogni singolo ambiente chiuso, ospedali compresi – i sopralluoghi dell’autore in Italia si sono svolti evidentemente prima dell’entrata in vigore della legge Sirchia – e riempiono di statue di uomini nudi la piazza più importante della città. Il professor Robert Langdon – lo stesso de Il codice da VinciAngeli e demoniIl simbolo perduto – ne conta, sconcertato, almeno dieci: oltre alla copia del David di Michelangelo e al Biancone dell’Ammannati c’è persino una schiera di satiri accanto al Nettuno, in piazza della Signoria. Integralmente nudi, precisa con bizzarra pruderie.
Nota a margine per i non toscani: il lampredotto è uno dei quattro stomaci dei bovini, l’abomaso, che viene cotto a lungo con pomodoro, cipolla, prezzemolo, sedano e condito con salsa verde e olio piccante; un piatto povero tipico della cucina locale buonissimo ma inadatto ad accompagnare il cappuccino. Come le olive, del resto, più consone al Martini agitato, non mescolato di James Bond che a una colazione all’ombra del campanile di Giotto.
Sono davvero strani, dicevamo, questi fiorentini. Le autorità locali traggono in inganno i turisti con cartelli ambigui: la scritta «Porta del Paradiso» deve essere messa sulla Porta del Paradiso, ammonisce l’autore, non sull’inferriata di protezione, altrimenti i visitatori scambieranno il capolavoro dell’arte orafa famoso in tutto il mondo per un normale cancello come se ne trovano a migliaia in New England. Il Battistero è bellissimo, niente da eccepire, ma quanto a senso pratico, la popolazione locale non merita la sufficienza. Anche dai migliori, tra gli autoctoni, arrivano brutte sorprese, pure gli artisti più celebri commettono errori grossolani: Lorenzo Ghiberti è stato piuttosto bravo nel realizzare le formelle in bronzo dorato della porta, ma si è dimenticato un elemento essenziale come la maniglia.
Mentre si aggira fra dipinti e celebri statue, il nostro Robert descrive la città con la stessa quieta, rassicurante piattezza di una guida turistica tascabile. «La narrazione – chiosa perfidamente Monica Hesse, The Washington Post – sembra tratta da una guida Fodor’s, come quando Langdon si interrompe nel bel mezzo di una fuga, in un momento che potrebbe costargli la vita, per ricordare la storia di un ponte. È come cercare di risolvere un mistero mentre un’audioguida ti pende dalle orecchie: “Passate sopra questo corpo riverso e digitate 32 per conoscere i dettagli sulla scatola di velluto contenente la maschera mortuaria di Dante, nel Palazzo Vecchio”». Per ulteriori informazioni sugli orari del museo e i giorni di chiusura attendere il segnale acustico, grazie.
Il placido Robert si risveglia dal letargo e diventa improvvisamente sarcastico solo quando parla di temi che riguardano la Chiesa. Anche se l’azione si svolge a Firenze, continua a citare a ogni pie’ sospinto il Vaticano. La stessa Sienna Brooks, l’affascinante coprotagonista, non manca di notare la strana ossessione del suo compagno di avventure: siamo nel giardino di Boboli, che c’entra San Pietro? «Sienna non aveva idea di cosa c’entrasse il Vaticano con la loro situazione – si legge nell’edizione italiana a pagina 142, e il lettore non può che convenirne – ma Langdon prese ad annuire, continuando a guardare verso est e il retro del Palazzo». Miss Brooks, dotata di una buona dose di sensibilità oltre che di un abnorme quoziente di intelligenza, non approfondisce oltre. «Ad ogni poeta manca un canto», come si dice a Firenze, e Sienna è teneramente indulgente verso il suo Robert. Saggiamente il professor Langdon preferisce glissare sul tema quoziente di intelligenza e non far cenno al proprio, visto che nel corso della trama cade in ogni trappola possibile, dalle più banali alle più sofisticate, si fida sistematicamente delle persone sbagliate, controlla la mail dal primo portatile che gli capita a tiro fornendo le coordinate precise del suo nascondiglio ai suoi supertecnologici nemici («si può essere così stupidi?» si domanda a pagina 77 uno dei cattivi del libro, a capo del Consortium, una sorta di Spectre internazionale), cade nel più nero sconforto perché ha perso il suo amato orologio di Topolino, si perde in divagazioni erudite mentre un commando armato fino ai denti lo attende sotto casa, rischia l’attacco di panico perché non riesce a trovare una libreria aperta di lunedì – ma il giorno di riposo non era la domenica? Dove lo trovo un testo della Divina Commedia a Firenze? Ci sono i poster per turisti con il testo integrale, ma il carattere è troppo piccolo, tocca chiedere in prestito l’iPhone di una connazionale e sperare che accetti di pagare il costo dell’accesso a internet. Proviamo a fare un salto nella Chiesa di Dante, Santa Margherita de’ Cerchi, forse qualche citazione sui depliant per turisti, accanto alla (peraltro finta) lapide di Beatrice Portinari, riesco a rimediarla (sintesi libera ma realistica del testo).
Tornano in mente le parole della quarta di copertina: «È normale che a Firenze Robert Langdon sia di casa, che il David e piazza della Signoria, il giardino di Boboli e Palazzo Vecchio siano per lui uno sfondo familiare, una costellazione culturale e affettiva ben diversa dal palcoscenico turistico percorso in tutti i sensi di marcia da legioni di visitatori». Un’excusatio non petita che era meglio evitare. Ha uno strano modo di esternare il suo amore per l’arte, il professore di simbologia famoso in tutto il mondo: usa la fonte battesimale del “bel San Giovanni” come un lavandino, smacchia la maschera funebre di Dante con uno strofinaccio, danneggia in modo irreparabile L’Apoteosi di Cosimo i del suo amato Giorgio Vasari saltando incautamente da una trave all’altra – con killer al seguito ovviamente – nel controsoffitto del Salone dei Cinquecento. Ma forse è colpa dell’amnesia retrograda – vera o presunta? Naturale o indotta con dosi da cavalli di benzodiazepine? Non sveliamo di più – che rallenta provvisoriamente le prodigiose facoltà cognitive del professore, l’espediente narrativo su cui si regge praticamente tutta la complessa intelaiatura della trama. «Le parti iniziali di Inferno – scrive Janet Maslin su The New York Times – si avvicinano così tanto a un’auto-parodia che il signor Brown sembra aver perso se stesso come Langdon, che inizia il libro in un letto di ospedale». I cattivi, invece sono dotati di super poteri e facoltà visive eccezionali: il genio della biologia svizzero Bertrand Zobrist, leader del movimento Transumanista, riesce a guardare negli occhi per un ultimo struggente congedo dalla vita il suo amato bene – che lo aspetta in strada, vicino al Bargello – dal campanile della Badia fiorentina, a settanta metri da terra. Senza binocolo, naturalmente.
Ma Firenze non è l’unica location del libro. Il rapido precipitare degli eventi — una rocambolesca caccia al tesoro, che, per quanto scombinata e ribaltata da colpi di scena poco credibili e troppo frequenti riesce comunque ad agganciare l’attenzione del lettore – porta Robert e Sienna a bordo di un treno diretto al nord. La città cambia ma l’ipersensibilità olfattiva continua, accompagnata da altre incongruenze gastronomiche: Langdon si accorge di essere a Venezia grazie all’inequivocabile profumo di seppie al nero che aleggia costantemente sui canali, più forte della salsedine e dell’odore di nafta dei vaporetti. Chissà quale sito in stile tripadvisor avrà dato origine a un copia-incolla così surreale. Ma la vera domanda è: possibile che passi simili abbiano superato il filtro di un plotone di editor e il senso critico dell’équipe di traduttori disposti a lasciarsi chiudere in un bunker per mantenere il segreto sul testo fino all’ultimo minuto? Misteri dei best-seller contemporanei.
Gli errori storici non mancano e c’è chi si è già preso la briga di elencarli tutti, ma in fondo i thriller di Dan Brown sono una lettura da spiaggia senza pretese, e in questo caso la Commedia di Dante è solo un pretesto narrativo, una scenografia dipinta a tinte forti per facilitare il lavoro agli sceneggiatori che porteranno ben presto Inferno sul grande schermo.
Quello che produce un leggero fastidio sono le prediche eugenetiche contenute in un libro che simpatizza apertamente con il cattivo, uno scienziato pazzo che ha perso il lume dell’intelletto perché incompreso dalle ottuse menti oscurantiste dei contemporanei. Uno psicopatico pericoloso che però, in realtà – secondo la quasi totalità dei personaggi, e quindi anche secondo l’autore – ha ragione.
I transumanisti di Bertrand Zobrist sono l’ennesimo travestimento del “super uomo” di Nietzsche, unito in un cocktail letale per il lettore a deliri malthusiani sui pericoli della sovrappopolazione, ampiamente confutati già dalla fine del Settecento ma citati come scientificamente attendibili. «Il fine giustifica i mezzi» spiega l’autore, attribuendo ovviamente la frase a Machiavelli anche se nei testi dello scrittore toscano non c’è, come si può comodamente leggere su Wikipedia; quel che è certo è che l’umanità, secondo quella ristretta élite che si sente autorizzata dalla propria presunta superiorità a decidere per il bene di tutti, deve essere drasticamente sfoltita, epurata, selezionata. Le guerre in corso non bastano, servirebbe una bella epidemia globale. Peccato che la peste nera sia un ricordo del passato (o forse no, se la tecnologia lo consente). Tutto si fonda sulla convinzione che l’uomo è un essere “sbagliato” da riprogrammare; il fatto che gradisca o meno di essere riprogrammato è un dettaglio irrilevante. Viene ribadito più volte, nel corso del libro, il disprezzo per il gregge umano che non accetta di essere migliorato, e per quelle masse ottuse che si ostinano inesplicabilmente ad amare la vita, a fidarsi di quello che vedono e vivono tutti i giorni piuttosto che dar credito a schemi matematici astratti, basati su presupposti sbagliati e più volte smentiti dalla storia. Una propaganda, questa sì, davvero virale e tossica, che suona grottesca e fuori tempo massimo nel lungo inverno demografico che ha colpito buona parte dell’Europa e del mondo.
Attraverso il personaggio del Rettore – un cattivo un po’ meno cattivo degli altri – l’autore sembra quasi descrivere, consapevolmente o meno, se stesso. «Io mi guadagno da vivere con l’inganno. Io fornisco disinformazione» dice il capo del Consortium mentre veleggia al largo dell’Italia a bordo dello yacht Mendacium (nomen omen) preoccupato dalla punizione karmica che si abbatte su chi frequenta troppo spesso la mistificazione. «Il Rettore non era certo l’unico al mondo a fabbricare menzogne (…) Che si trattasse di sostenere un mercato azionario, giustificare una guerra, vincere un’elezione o stanare dei terroristi, i mercanti di potere si affidavano a programmi di disinformazione di massa per plasmare l’opinione pubblica. Era sempre stato così».
Qualche battuta davvero spiritosa c’è nelle 522 pagine del libro, come l’allegro cinismo dell’editor americano Jonas Faukman, un personaggio che purtroppo fa un’apparizione fugace: «Non abbiamo a disposizione jet privati per gli autori di tomi sulla storia delle religioni – spiega Faukman rispondendo alla richiesta di aiuto di Langdon che lo ha tirato giù dal letto alle quattro di mattina, incurante dei fusi orari – Se hai intenzione di scrivere Cinquanta sfumature di iconografia ne possiamo parlare».


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lunedì 12 agosto 2013

Personaggio del mese: Anthony Muroni. Come ai tempi d'oro del giornalismo sardo.

La nostra classe dirigente è una sprovveduta Teti, che nell’immergere l’Italia nello Stige del progresso, ha trascurato più di un particolare. Ma se Achille doveva badare al suo solo tallone qui mala tempora currunt per uno stivale intero. Come da storica memoria è facile ricordare che nei momenti di crisi prostrante il popolo risponde con vivacità e ardimento intellettuale, così come avvenne durante il “Fausto cinquantennio” dell’Ottocento sardo. Così la penna onniveggente del celebre storico Raimondo Bonu denominò quel periodo intercorso tra gli anni Venti e Settanta del XIX secolo, in onore della migliore gioventù sarda che nell’ appassionata palestra della stampa dava voce e spazio all’ indimenticabile epopea del Risorgimento sardo. Il giornalismo e l’attività letteraria dell’Ottocento sardo lasciano progressivamente spazio ad una certa soporosa letargia culturale che dopo i rigori del regime fascista si avvia ad accomodarsi, eccetto validi esempi, sugli allori del benessere economico appena conquistato. Tuttavia, per quei pochi ma validi esempi di cui si diceva, vale ancora la pena acquistare libri e quotidiani in Sardegna. Con stile garbato, ma non ossequiente, Anthony Muroni, Direttore de “L’Unione Sarda”, libero d’animo e di penna,  fa venire in mente i tempi d’oro del giornalismo sardo, quello del quotidiano da battaglia politica, quello, per intendersi, che al giornalista pretendeva non solo di vergare con eleganza ma di spostare l’opinione pubblica con l’autorevolezza dell’umanista policulturale. Competenza tecnica, profondità critica, chiarezza e linearità espositiva si riflettono sullo scritto e sulla conduzione, contribuendo a definire l’inconfondibile stile “muroniano” che non manca di intarsiare la cronaca con soventi richiami alla storia patria, pronto ad un tempo a dare spazio alla narrazione delle tendenze della società e della cultura mondana. Reduce dal successo televisivo di “Dentro la notizia”, col suo caratteristico melting pot politico e culturale, sentiamo l’infaticabile intellettuale per parlare con lui de “Il sangue della festa” (Ethos Edizioni, 150 pagine,  ultima fatica letteraria, antecedente alle tre opere biografiche uscite in rapida successione in questi mesi) un suggestivo noir che si rinnova di continuo anche per la destrezza con cui l’autore ha saputo intrecciare i fili con  varietà di toni espressi dal piglio risoluto di una prosa sobria e succosa che non è forzata contemplazione lirica della Sardegna.
Il suo libro ha due anime, due caratteri  autonomi che si evincono già da un titolo in lingua italiana e sottotitolo in lingua sarda (Mortu in die nodida). La Sardegna di Giaime, trasferitosi per lavoro a Cividale, non è la Sardegna ammirata dal turista ma neanche la Sardegna delle fiaschette ad armacollo, delle cassa panche e dell’astore padrone della bonaccia e della tempesta. Qual è dunque la Sardegna di Giaime? E’ quella della mia prima giovinezza, trascorsa in Planaria. Quella della saggezza popolare, del paese che si fa famiglia allargata. Ma anche la Sardegna di oggi, con le sue difficoltà e le sue contraddizioni. La responsabilità del suo ruolo all’interno del quotidiano limita in qualche modo i suoi margini di manovra narrativa? Le due attività sono assolutamente scisse. Io mi sento libero quando faccio il giornalista e ancora di più quando mi diverto a scrivere. Il vantaggio è proprio quello di non essere un vero scrittore. Mi posso avvicinare al libro con la leggerezza dell’ hobbysta che cerca un po’ di evasione al suo quotidiano. La copertina del suo libro nasce da un simpatico concorso su Face Book. Che opinione ha dei social network da un punto di vista informativo? La mia presenza sul social network è caratterizzata proprio da un continuo scambio con i miei contatti. Mi confronto con loro non solo sulle questioni letterarie, che sono appunto un hobby, ma anche sul mio lavoro nel quotidiano più diffuso nell’Isola e nella televisione che ogni giorno tiene compagnia a quasi la metà dei sardi. Lei è molto giovane ma ha alle spalle diversi premi letterari tra cui la menzione speciale al prestigioso Premio Alziator. Se l’oro sale e scende come la fama degli uomini ai giornalisti di razza spetta una medaglia che non sia di metallo, che riconoscimenti merita oggi una pagina di valore? Non sono uno che bada a queste cose e non lo dico per falsa modestia. L’essere eccessivamente modesti non è infatti una virtù. Ma credo che i premi lascino il tempo che trovano. Il premio più bello, mi creda, è quello del confronto con i lettori: un complimento, così come una critica costruttiva, sono il più bel regalo per un giornalista professionista e uno scrittore dilettante, quale io sono. 

Ilaria Muggianu Scano

Vincenzo Porru da Villanovafranca, lettura prediletta del Manzoni

Una figura inabissata tra le polveri archivistiche merita di essere annoverata tra i discorsi inerenti le questioni dell’apprendimento didattico de Sa Limba Sarda. Inspiegabilmente, poco si conosce del filologo Vincenzo Porru.
L’uomo di lettere nasce 240 anni fa a Villanovafranca, nella provincia cagliaritana. Dapprima teologo, Vincenzo Porru, coltivò anche gli studi letterari con un unico, grande obiettivo: dare dignità letteraria alla lingua della Sardegna meridionale, il Campidanese.
La notorietà del Porru non era circoscritta all’ambito regionale tanto che il suo “Nou Ditzionariu Universali Sardu – Italianu” sarà uno degli ultimi libri letti da Alessandro Manzoni ed è ancora custodito sullo scrittoio dell’autore dei Promessi Sposi. Vincenzo Porru cercò le parentele della lingua Sarda con quelle Greca e Latina. Ritenne da subito la lingua Sarda uno strumento valido per affrontare la realtà moderna. Nonostante il sardo venisse progressivamente soppiantato dall’uso ufficiale della lingua Italiana, il Porru rimane tenacemente radicato all’idea che se una lingua, così come il Sardo, riusciva a veicolare i sentimenti dell’anima, i concetti filosofici e i messaggi tecnico scientifici, allora era un completo strumento di comunicazione.

Il Porru era noto per il suo genio educativo. Osservato che i suoi allievi avessero grosse difficoltà nel tradurre dal latino all’italiano, e viceversa, intuì che alla base vi era un serio problema di comprensione della stessa sintassi italiana. Il Porrù ideò il sistema di previo apprendimento dell’italiano dal sardo e del latino dall’italiano. Sistema che più tardi veniva adottato anche in ambito nazionale in riferimento alle rispettive parlate regionali. Il filologo concepiva la lingua sarda campi danese come una parlata moderna, dinamica e aperta alle evoluzioni necessarie. Ogni critico letterario coevo lo tenne in grande considerazione, sia a livello nazionale che europeo, probabilmente anche grazie al richiamo che ebbe il sincero interesse di Alessandro Manzoni per “Su nou Ditzionariu Universali”, raffinato culmine degli studi letterari di Vincenzo Porru. 

XI-XVIII SEC. L'ASSISTENZA DEI SARDI A ROMA

Filippo V di BorboneTalvolta, mentre si compie un’amena promenade storica tra i prodigiosi granai storici degli Archivi Diocesani, ci si trova dinanzi a gustose scoperte che fanno gioire come di fronte a vere e proprie “news dal passato”. Non sia intesa come espressione ossimorica dal momento che in certi casi si tratta di vere e proprie notizie obliate dal tempo. Si pensi all’antico servizio di assistenza agli ammalati Sardi a Roma durante l’XI secolo. Il Cardinale Costantino Cao, cagliaritano, fondò a Roma, nei pressi della Porta Settignana, un ospedale destinato ai suoi connazionali Sardi. L’istituzione venne aggregata nel 1528 alla chiesa della Madonna del Monserrato, che i Catalano-Aragonesi avevano appena costruito proprio a Roma, centro della cristianità.
Le cose filarono lisce fino a quando nel 1733 Filippo V dispose che i Sardi, nel frattempo divenuti sudditi dei Savoia, non potessero più godere del privilegio.
Nel 1528 la nuova chiesa, intitolata alla Madonna di Monserrato, assai venerata nei paesi catalani, era ormai terminata. I Sardi, in forza della condizione giuridica di sudditi della Corona d’Aragona, furono chiamati a ricoprire le cariche di consiglieri e amministratori delle rendite dell’ospedale, ed assistere, come cappellani, ammalati e pellegrini.
Ai pellegrini vecchi e stanchi, come ai sacerdoti molto poveri era concesso di soggiornare anche per lunghi periodi.
Nel 1711, dopo che la Corona perse i regni di Sicilia, di Napoli e di Sardegna, tutti gli Spagnoli dovettero abbandonare temporaneamente Roma. In questo periodo l’amministrazione dell’ospedale restò per qualche anno in mano al sardo Antonio Nin, futuro vescovo di Oristano.
Il governo Austriaco, espone sul territorio, avanzò la pretesa di sovrintendenza sulla chiesa, ma gli Spagnoli si opposero tenacemente. Nel 1720, dopo il passaggio del Regno di Sardegna alla Monarchia sabauda, i cappellani Sardi, nonostante la diversa nazionalità politica, continuarono a vivere in perfetta armonia con gli Spagnoli. Dal 1727 il re di Spagna dispose, però, di non ammettere per il futuro i congragantes sardos.à e pietà religiosa, comuni a Sardi e

Ed è così che le secolari pratiche di carità e pietà religiosa, comuni a Sardi e Spagnoli, venivano cancellate dalla ragion di Stato, dettata dalla difficoltà dei rapporti tra Torino e Madrid, dopo l’avvenuto distacco dell’Isola dalla Corona Spagnola. I documenti tacciono sull’esito dell’intenzione sarda della fondazione di un nuovo ospedale per i pellegrini conterranei. Vero è che, col tempo, la tradizione medievale degli ospedali per pellegrini ed infermi lascerà il passo a nuove forme di assistenza sanitaria e religiosa, anche nella capitale della cristianità.X 

domenica 11 agosto 2013

I giorni di Totò (non Riina) in Sardegna

 “Sono un uomo di mondo…ho fatto tre anni di militare a  Cuneo”. Sono tante le perifrasi-tormentone di Totò entrate nel linguaggio comune ma quella particolarmente cara ai cagliaritani è senz’altro quella nata nel contesto delle vessazioni militari vissute in prima persona nel periodo pre bellico in cui l’attore si chiede se “Siamo uomini o caporali?”, e con un perfetto controllo dell’arte dei guitti, con la caratteristica comicità surreale e irriverente, è pronto a sbeffeggiare i potenti quanto a esaltare i bisogni umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale ma soprattutto a manifestare la propria intolleranza grave verso parvenue di ogni risma, nel preciso intento di menar gramo a tutti i Balanzoni del Belpaese. Siamo a Cagliari, Anno del Signore 1938, le luminarie in Piazza Defenu, la gimcana motociclistica al Campo Dux e le acrobazie nei cieli della squadriglia aerea di Elmas sono da settimane messe a punto per salutare l’incontro nell’Urbe di Hitler e Mussolini: Totò è ancora lo scugnizzo napoletano del rione Sanità, da qualche mese appena legittimato dalla paternità del principe Giuseppe De Curtis, tuttavia quando viene a Cagliari ha già all’attivo una prima produzione cinematografica “Fermo con le mani!” in cui arriva a prendere in giro il Duce. L’episodio non rimarrà privo di conseguenze. Riconosciuto monarca del doppio senso brillante e del gusto del paradosso esplode in  prodezze offensive al pari di quelle difensive, ma durante il Ventennio la critica non è appena una vezzosa schermaglia intellettuale e in caso di dissenso il piombo del linotype rischia di passare a quello molto meno metaforico della censura fascista. Reduce da una tournèe a Massaua e in altre città africane, Totò arriva a Cagliari con la sua “Compagnia di fantasie comiche”, quando Hitler e Mussolini si sono appena incontrati a Roma per “suggellare il patto di collaborazione tra due razze create per intendersi”. Inaugurando l’Arena Odeon di via Garibaldi con un copione gustosamente ironico, “Dei due, chi sarà?”, il comico napoletano disegna un personaggio soltanto in apparenza ossequiente alle mode diffuse. Da buon cantore di usi e costumi dello Stivale non può ignorare il valore del ludus nella vita dell’italiano medio, men che meno del sardo trovandosi nel cuore del capoluogo di cui velocemente intercetta verve e sarcasmo, ottimo pane per i suoi denti. L’inafferrabile carica eversiva di Totò arriva a prendere in giro gerarchi e ducetti nell’idioma locale ma il climax roboante è raggiunto con la battuta sarda al fulmicotone “T’happu frigau, o balossu!”, captata in is prazzas durante il suo rituale giro per dare cibo a cani e gatti randagi. Se il regime aveva reso i satirici dei tristi menestrelli dalla bocca stringata Totò con l’abilità del guitto continuava a trasformare creature terrene destinate a sorti terrene in creature mitiche destinate a sorti mitiche in un affresco dell’Italia popolare, delle sue origini, i suoi drammi, le vittorie e le pagine da dimenticare.




Buon compleanno Biancaneve

Duecento anni e non dimostrarli. Per augurare un buon compleanno alla cara Biancaneve ci si aspetterebbe che bimbi, e non più bimbi, di tutto il mondo si diano appuntamento all’eden surreale di Disneyland, dato che il papà del cinema d’animazione diede tanta fiducia alla leggiadra fanciulla tedesca da ipotecare la propria casa per reperire i finanziamenti necessari alla realizzazione della pellicola “Biancaneve e i Sette Nani”, la quale costò ben un milione e mezzo di dollari e che i critici definirono un’ autentica pazzia. I tempi dichiararono il contrario e oggi, per tutto il 2013, nei luoghi della beniamina dei bimbi dalle gote rubiconde è fitto il calendario delle celebrazioni solenni in onore dell’opera favolistica, tradotta in 170 lingue, dei fratelli tedeschi Jacob e Wilhelm Grimm,  linguisti e filologi, ricordati anche come i “padri fondatori” della germanistica. Assieme a Biancaneve compiono duecento anni anche le altre creature dei prolifici e fantasiosi fratelli: Cenerentola, la Bella Addormentata, Cappuccetto Rosso, così come i musicanti di Brema, il principe ranocchio, Hansel e Gretel, il pifferaio di Hamelin, Raperonzolo, il Gatto con gli stivali, i Tre Porcellini e Pollicino.  La dolce e suggestiva la “Strada delle fiabe”, che si snoda per oltre 600 chilometri, da Hanau a Brema, passando per Kassel, racconterà le fiabe e la vita dei fratelli Grimm. In molte località lungo il tragitto verranno organizzati concerti e rappresentazioni teatrali in castelli e fortezze, feste nei villaggi, festival all’aperto. Dal prossimo aprile, inoltre, un congresso con oltre 250 studiosi da tutto il mondo si riunirà all’Università di Kassel per discutere il tema “Fiabe, miti e modernità”.  Le fiabe facevano parte da molto tempo della tradizione orale e della narrativa popolare tedesche ma i fratelli Grimm ebbero l’intuizione di scriverle, annotarle e raccoglierle accuratamente. Intuizione talmente geniale che nel 2005 l’Unesco ha deciso di ascrivere la raccolta di fiabe nel “Registro della Memoria del Mondo”. Grande fu l’impegno dei due tedeschi nell’estrarre pazientemente storielle e aneddoti dalla memoria popolare; una delle maggiori collaboratrici fu l’anziana Dorothea Viehmann, che dalla più tenera età ascoltava nell’osteria dei genitori i racconti degli operai di passaggio, degli artigiani e dei viaggiatori. Oggi, generazione dopo generazione, i brani e stralci delle fiabe raccolte dai Fratelli Grimm sono presenti in quasi tutti i libri di testo per la scuola primaria esercitando, incuranti del tempo che passa, il fascino sempiterno del bene che trionfa sul male con l’endorsement di cavalieri senza macchia, antagonisti che fanno il diavolo nel canneto ma poi tornano a casa con le pive nel sacco, tutti immortalati da una narrazione raffinata dell’eterno desiderio umano di un ritorno alle emozioni più profonde e pure.






STORIA DELLA TELEVISIONE SARDA. LA PRIMA TV A CAGLIARI

Esattamente cinquantasei anni fa la televisione arrivava a Cagliari introducendo una solenne pagina della preistoria televisiva sarda. Era il capodanno del 1957 e già da tre anni i sardi attendevano su cinema in domu che nella Penisola qualcuno aveva già. “Lascia o raddoppia” di Mike Bongiorno e “Il Musichiere” di Mario Riva divengono padroni incontrastati del giovedì e del sabato sera anche in terra sarda, e oltre a divenire clamoroso fenomeno di costume incidono pesantemente sulla vita quotidiana, tanto che persino le organizzazioni politiche devono stabilire priorità e appuntamenti che non si accavallino col palinsesto della Rai. Nel 1953 avvengono le prove ufficiali del grande evento proiettate  presso l’Astra Supercinema di via Roma e annunciate trionfalmente da “L’Unione Sarda”. L’operazione non è altro che una proiezione pilota dedicata alle prime riprese a circuito chiuso, ovvero la televisione sperimentale all’interno degli studi. “Signore e signori vi trasmettiamo dagli studi di via Asiago”, è un boato di giubilo che accoglie, anche da Cagliari, il saluto di Nicoletta Orsomando, destinata a entrare garbatamente nelle famiglia degli italiani dalla scatola magica. L’appuntamento quotidiano con le serate relax televisive inizia invece il 3 gennaio 1954 con “L’osteria della posta” di Carlo Goldoni. A seguire la commedia sono 24 mila abbonati, gran parte sono i bar del Paese perché la tv domestica è ancora ben al di là dal divenire consuetudine. I sardi non possono che leggere le mirabilia del tubo catodico perché di fatto ancora il trasmettitore non c’è. Ci pensano però i coniugi Lina e Ivo Mazzei, titolari del Teatro Massimo che col patrocinio de “L’Unione Sarda” che si fanno promotori del “Veglionissimo Stampa - Tv” a metà febbraio del ’56, durante il quale dei cameramen appositamente chiamati da Milano riprendono i protagonisti dell’incontro. I momenti più suggestivi sono i balli accompagnati dall’orchestra di Lino Girau e di Prospero Artizzu. Quando il Presidente Antonio Segni porge il saluto di fine anno 1956 la tv è invece già una realtà, nel capoluogo sardo e non solo: “ 200 mila gli spettatori raccolti in Sardegna attorno agli apparecchi degli appartamenti privati e dei locali pubblici” dirà Vittorino Fiori.  Se Carosello diviene l’inno dei bambini, gli adulti sono invece ipnotizzati dalle accoppiate comiche: Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi, Chiari e Campanini, Totò e Peppino De Filippo che talvolta è sostituito dal nostro Gianni Agus, gli ascolti sono trionfali. Il primo film visto dagli cagliaritani, ricorda il cronista Giuseppe Podda, è “La valigia dei sogni”, firmato da un esordiente destinato a glorie future, tale Luigi Comencini. L’opera è composta da frammenti di cinema muto e dei primordi del sonoro, alcune parti di “Cenere” in cui Eleonora Duse interpreta il best seller di Grazia Deledda, alcune sezioni di “Assunta Spina” con Francesca Bertini e qualche scena di “La canzone dell’amore” dalla novella di Pirandello. A dare un accento di leggerezza al calderone sono le comiche di Ridolini e Polidor. Ai Cagliaritani non passa inosservata la scarsa qualità del prodotto targato Comencini il quale custodisca da tempo la sua opera nel cassetto, nell’attesa di un esercente che accetti di programmarlo. E’ un indignato lettore cagliaritano de “l’Unione Sarda”, Romolo Sanna, a dar voce al disappunto dei telespettatori vergando risoluto: “Il film stava addirittura al di sotto del limite di normale decenza. Come per gli avvenimenti sportivi che vengono ignorati e non ripresi in diretta, anche qui è una questione di quattrini. Se la Rai vuole raggiungere l’accordo con i noleggiatori, deve convenire sulla necessità di pagare i film per quel che valgono, né può decentemente eludere il problema acquistando la robaccia invenduta e invendibile. Prenda esempio dai responsabili delle cineteche. Noleggiando vecchi film del passato che, al di là del valore storico, hanno requisiti artistici e spettacolari a volte neanche sfiorati dalla produzione moderna”. La lettera del cagliaritano arriva al presidente della Rai, Ettore Bernabei, che ringrazia prontamente lo spettatore sardo e incarica i programmisti di scegliere meglio i vecchi film, malgrado la scelta sia piuttosto limitata, infatti la legge prevede che siano trasmessi soltanto i film molto datati per non sovrapporsi alle programmazioni delle sale cinematografiche. E’ così che in omaggio alla Sardegna viene mandata in onda una rassegna sulle più celebri interpretazioni di Amedeo Nazzari. Altri tempi, oggi il telespettatore contrariato viene puntualmente invitato dai vertici ad esercitare la sua sovranità attraverso lo scettro del telecomando, fortuna che si può ricorrere alla giustizia privata del web, o in alternativa, con una bella corsa al parco. 

sabato 10 agosto 2013

iMiglioraMenti: Quest'uomo esiste davvero!

iMiglioraMenti: Quest'uomo esiste davvero!: Ehi ragazze quest’uomo esiste davvero, ed è il mio. «È vero, le donne devono sempre verificare se, tante volte, possano trovare (o avrebb...

venerdì 9 agosto 2013

Quest'uomo esiste davvero!

Ehi ragazze quest’uomo esiste davvero, ed è il mio.
«È vero, le donne devono sempre verificare se, tante volte, possano trovare (o avrebbero potuto) trovare un uomo “un po’ più”. Segue elenco di aggettivi a scelta. Profondo, nobile, spiritualmente elevato ma anche aitante, brillante, bello, ricco ma nobilmente disinteressato al denaro, ambizioso, affettuoso, fine psicologo, filosofo ma anche un po’ idraulico, stabile e calmo ma deciso all’occorrenza, fine conoscitore della Bibbia, dei testi in latino, e conoscitore della più vivace leva registica contemporanea, sportivo, capace di ascoltare, rude ma innamorato, ordinato ma creativo, un po’ gastroenterologo ma non ipocondriaco, amante della letteratura e dell’arte ma pratico e concreto, falegname e filologo, generoso ma responsabile, decisionista ma capace di mediare, in grado di ricordare date e particolari dei primi appuntamenti ma anche di andare al sodo, capace di notare lo smalto nuovo ma non effeminato, capace di sbrigare le faccende domestiche ma anche di fare le tracce per l’impianto elettrico».

Da “Sposala e muori per lei”, Costanza Miriano, Sonzogno, Venezia 2012, p. 120



venerdì 2 agosto 2013

DANIELA NOLI. LA SARDEGNA CHE CI PIACE. LA SARDEGNA CHE FUNZIONA

Da Vittorio Emanuele I a Daniela Noli: in primis la difesa del diritto allo studio

Il 23 agosto 1808 Vittorio Emanuele I emanò un pregone in cui dichiarava la propria volontà di sostenere gli ingegni che, anche dai villaggi, potevano nascere eletti e sublimi. Il Re di Sardegna si impegnava a concedere tutte le facilitazioni agli studenti meritevoli, tutti coloro che avessero mostrato “disposizioni necessarie a ben riuscire nelle lettere, e nel buon costume”, mentre doveva restare escluso da ogni beneficio chi “per difetto di cristiana educazione” o per penuria di esami di profitto apparisse non abbastanza motivato negli studi. Al di là dell’evidente analogia con le scadenze delle pratiche agostane è curioso osservare l’esistenza di un Ersu (Ente per il diritto allo studio) ante litteram. Le similitudini tra universitari odierni e studenti cagliaritani di memoria storica non finiscono qui. Certo la sceneggiatura degli city users di oggi è del tutto ridimensionata rispetto alla picaresca esperienza universitaria del majolu, lo studente servetto che animava la movida cagliaritana già a partire dal periodo della dominazione spagnola. Questi fanciulli, paragonabili con buona approssimazione ad una figura di studenti fuori sede privi di ogni strumento economico, rappresentavano una componente sociale caratteristica del capoluogo e delle altre città universitarie dell’Isola. Chi ricalca oggi le orme di Vittorio Emanuele I nell’intento di far fruttificare gli ingegni sardi meritevoli di sostegno? Una figura che, parlo per pratica diretta, esce senza remore dalla cineseria formale del suo ruolo istituzionale: Daniela Noli (Vi ho preparato un box, qui sotto, in cui poter approfondire la conoscenza del nostro personaggio del mese). Sapete tanto quanto me che una volta intrapresa la strada, tutta in salita, della Ricerca non si contano più gli incontri con baroni, politici e politicanti vari che ti vezzeggiano con pacche sulle spalle che, al momento opportuno (ovvero meno opportuno che ci sia) si convertono in silenzio assoluto nel migliore dei casi, nel “Le faremo sapere” – modello più diffuso nel mercato ma che ancora lascia accesa una seppur flebile speranza fumigante -  e nella più infingarda delle realtà si traduce nel fare scatafasci di fotocopie a gratis ammantandole del nobile appello di stage o tirocinio per i più tradizionalisti, ma non meno impostori. Viene pure la tentazione di attaccare al chiodo la propria missione scientifica, dire finalmente addio ai salamelecchi con i burocrati di turno nella pallida speranza di un’assistenza che dovrebbe esser garantita e ovvia a ogni tanto una boccata d’ossigeno fa nuove tutte le cose. Daniela Noli non è una logorroica reclame di se; solare ma schiva, parole, pochissime, e fatti concreti.

D: Coerentemente alla sua formazione scientifica e professionale (si veda il box sottostante) lei ha sempre lavorato con le problematiche giovanili ma, fatta salva la grande poesia del contatto coi giovani e le loro energie, l’universo studentesco è trasversale a dimensioni molteplici, a partire dalle differenze di censo alle sovrastrutture politiche di giovani sempre più spesso strumentalizzati senza che, nel più dei casi ne siano coscienti. Il successo del suo ruolo alla Presidenza dell’ERSU è sotto gli occhi di tutti, specie in questi giorni che ha ottenuto un traguardo concreto ed essenziale con l’affaire Borse di studio ritardatarie. Qual è stato la sua priorità, il suo punto fermo in questa guerra dei trenta giorni sfiancante anche da un punto di vista umano?
La priorità non poteva che essere il rispetto dei diritti degli studenti, previsti anche dalla legge, che stabilisce il pagamento della seconda rata della borsa di studio agli studenti beneficiari entro il 30 giugno. La realtà è che nonostante dal consiglio di amministrazione fosse stata formula al Direttore Generale, dott.ssa Mancuso, una indicazione nel senso di assecondare le esigenze degli studenti, ottemperando le indicazioni di legge, la stessa ha ritenuto di agire diversamente.
A luglio inoltrato la responsabilità della scelta sul pagamento delle borse è ricaduta sulla dirigente, la quale ha ritenuto, in sede di autotutela, di subordinare il pagamento suddetto al pronunciamento del Tar.
Per meglio comprendere le ragioni di tale scelta, è importante fare un brevissimo excursus.
Tra ottobre e novembre del 2012 una decina di studenti hanno presentato un ricorso al Tar per chiedere che l’importo della borsa di studio venisse adeguato agli importi previsti dal Miur (parliamo, per intenderci di € 3.620 per i fuori sede, contro i 4.905,40; 2.040 contro i 3.729 per i pendolari; di 1.398 contro i 2.107 per gli studenti in sede). Se il Tar dovesse pronunciarsi in loro favore entro l’anno, vorrebbe dire dover rifare le graduatorie e questo potrebbe comportare il dover richiedere la restituzione delle borse già assegnate a circa 700 studenti che con la nuova graduatoria potrebbero perdere il diritto acquisito. La non restituzione rappresenterebbe per l’Ersu un possibile danno erariale la cui responsabilità ricadrebbe sulla parte amministrativa.

D: Tracciamo un veloce bilancio dei suoi anni alla presidenza dell’Ente al Diritto allo Studio Universitario.
Un bilancio assolutamente positivo che riassumo in alcuni degli interventi più importanti:
  1. Progettazione ed attuazione del progetto interistituzionale ‘Student Jobs’, che all’inizio di quest’anno aveva già totalizzato 9milioni di visualizzazioni dei post inseriti quotidianamente dai nostri tirocinanti, selezionati nel 2010 in base al merito conseguito attraverso gli studi universitari e dopo aver fatto 75 ore di formazione con i partner del progetto.
  2. Sblocco (dopo 12 anni) del campus universitario, progettazione e pubblicazione del bando per la costruzione del primo lotto che comprenderà 240 posti letto, sottoservizi per l’intera aerea e 800 parcheggi, campo sportivo. L’aggiudicazione definitiva dei lavori è in attesa della firma del Direttore generale, attualmente assente.
  3. Sblocco (dopo 5 anni) della pratica per l’ampliamento della mensa di via Trentino, che passerà da 100 posti a 180 e avrà finalmente una cucina passando così da semplice self a mensa vera e propria. La pratica è all’attenzione del Comune di Cagliari per la conclusione dell’iter burocratico.
  4. Acquisizione di personale in comando di ben 12 unità lavorative, che se non risolvo l’annoso problema della carenza di personale dell’ente, sicuramente sono un valido supporto per le attività degli uffici.
  5. Apertura di uno sportello gestito da associazioni studentesche per la mobilità internazionale ed il volontariato europeo; apertura di uno sportello legale per gli studenti che necessitano di stipulare un contratto e non sanno come muoversi o non conoscono l’esistenza di contratti a canone agevolato.
  6. Apertura dello spazio studio/ricreazione Welcome day, consistente in sale messe a disposizione degli studenti che necessitano di ripassare un esame, incontrarsi per confrontarsi, navigare in internet anche con postazioni specifiche per studenti con disabilità (computer dedicati per studenti non vedenti e non udenti)
  7. Apertura della sala al secondo piano della sede amministrativa nel corso Vittorio Emanuele 68 a disposizione delle associazioni studentesche/comitati che ne fanno richiesta
  8. Apertura di una pagina facebook sulla quale i ragazzi scrivono per avere chiarimenti dell’ufficio DSU su tutti i servizi che li riguardano
Questi alcuni esempi concreti di attività avviate in questi anni, dal 2010 ad oggi.
A questo si aggiunga la politica virtuosa applicata alla gestione dell’Ente, che ha consentito all’Ersu di avere somme disponibili sia per aumentare il numero delle borse di studio rispetto alle somme erogate dal Miur e dalla Regione, sia di garantire i servizi per gli studenti con disabilità che gravano in toto sul bilancio dell’Ersu, ovvero son servizi pagati con fondi propri dell’ente.
Un altro aspetto importante della politica avviata dalla sottoscritta e dai cda che si son succeduti in questi tre anni,  consiste nel confronto costante con gli studenti sulle problematiche relative al diritto allo studio, sui servizi offerti e che necessitano o di essere implementati o migliorati, qualcuno sostituito, anche con tavoli periodici dai quali emergono esigenze che vengono successivamente valutate in consiglio di amministrazione.
Non nascondo che spesso vengo contattata direttamente dai genitori per ricevere informazioni sui nostri bandi, sui percorsi di studio e rassicurazioni sui nostri servizi.
Dal 2010, un altro passaggio importante, è stato quello di aprire le porte dell’ente alla generalità degli studenti con iniziative rivolte non soltanto ai beneficiari di servizi previsti dai bandi canonici, ma anche parte di quegli studenti che prima nemmeno sapevano dell’esistenza di un ente che invece dovrebbe, e lo sta diventando, un punto di riferimento per tutti i giovani iscritti all’Ateneo cagliaritano.
Questa impostazione innovativa ha consentito e consente agli studenti di comprendere le funzioni dell’Ersu, di sentirsi protagonisti e partecipi della programmazione delle attività.

D: Daniela ritiene che Cagliari sia una città a dimensione di Studente e di Studioso?
La risposta, mi dispiace dirlo, ma è no. Non è automatico che una città sede universitaria sia anche a dimensione di studente. Per esserlo bisognerebbe che più enti lavorassero insieme per un unico obiettivo: far stare bene il cittadino/studente. Invece capita troppo spesso che il giovane venga visto come sinonimo di seccature, disordine, chiasso. Non esistono iniziative a basso costo per l’accesso da parte degli studenti a circuiti culturali. Gli spazi di aggregazione sono davvero pochi e sottodimensionati. I commercianti non vengono sensibilizzati affinché applichino tariffe agevolate per studenti eppure gli studenti spendono sul nostro territorio e fanno girare l’economia in modo considerevole.
Le biblioteche non hanno orari adatti alle loro esigenze, mi rendo conto che tenere aperte le biblioteche di notte sia un costo, ma è anche vero che si potrebbero trovare forme di collaborazione con le associazioni studentesche. Gli studenti fuori sede, così come gli studenti stranieri e gli studiosi, dovrebbero poter trovare in città punti di informazione, attività itineranti atte a far conoscere la nostra terra, le nostre tradizioni...
Insomma, abbiamo ancora davvero tanto da fare rispetto ad altre città universitarie in cui le strade brulicano di giovani e i residenti son ben felici di accoglierli.

D: Progetti professionali futuri?
Per il momento l’attenzione resta circoscritta agli studenti. L’incarico di rappresentare l’Ersu è impegnativo, confrontarsi continuamente con i giovani porta a rimettere in discussione continuamente il proprio modo di lavorare. Le loro richieste richiedono velocità nelle risposte, certezze anche quando le risposte non sono positive, trasparenza nell’operare, massima disponibilità e quando dico massima, intendo che non esistono orari, ferie, malattia che tengano.
Per quanto riguarda il ‘dopo’...la vita mi ha insegnato a vivere alla giornata. Nei programmi giovanili c’era l’apertura di un’accademia delle arti, il cui presupposto sarebbe dovuto essere essere la laurea in pedagogia, gli anni trascorsi al Conservatorio con il diploma di solfeggio e l’insegnamento della danza classica e moderna. Peccato che quella pianificazione non avesse previsto le alternative dovute ai ‘casi della vita’ che possono cambiartela dall'oggi al domani costringendoti a rivedere o ribaltare le tue posizioni quando meno te lo aspetti.
Non escludo in ritorno all’attività precedente, svolgere nuovamente la professione di pedagogista nella speranza che nel frattempo la categoria ottenga il giusto riconoscimento attraverso la costituzione di un albo professionale, ad oggi assente.
Valuterò a tempo debito...a Dio piacendo....


Daniela Noli, laureata in Pedagogia, nata a Cagliari il 22 febbraio del 1966, è la prima donna a ricoprire l'incarico di presidente dell’Ersu di Cagliari ed è vicepresidente dell’Associazione nazionale degli organismi per il diritto allo studio universitario (Andisu). Fra le specializzazioni: corso IFOS in criminologia clinica e psicologia giuridica; specializzata in Mediazione civile e commerciale Camera di Commercio di Cagliari, con la collaborazione del Dipartimento di Scienze giuridiche e forensi dell'Università degli studi di Cagliari. E' iscritta al C.I.S.M.A.I. Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia. E’ inoltre iscritta alla Federazione italiana pedagogisti e all'Associazione nazionale pedagogisti.
 Dal 2006 al 2009 ha fatto parte della Commissione Politiche giovanili dell’Anci nazionale, mentre dal 2008 al 2009 ha ricoperto il ruolo di coordinatrice regionale Centri Informagiovani sardi (Anci Sardegna). Dal 2007 al 2009 è stata membro Anci nazionale del Coordinamento centri Informagiovani e membro della commissione “Occupazione, Crescita, Innovazione” della Fondazione Anci Ideali di Bruxelles, oltre che vice presidente della commissione “Mediterraneo e cooperazione”.Sempre molto attenta alle problematiche giovanili, appena si è insediata nel palazzo di corso Vittorio Emanuele II, sede dell’Ersu, ha immediatamente ideato e attuato lo sportello “Student Jobs”, sportello polifunzionale interistituzionale di formazione e informazione per gli studenti universitari.Prima di ricoprire l’incarico di presidenza dell’Ente regionale per il diritto allo studio universitario di Cagliari, dal 2006 al 2009 è stata assessore allePolitiche giovanili, Affari Generali, Decentramento e Assistenza Zooiatrica nel Comune di Cagliari. Sempre a favore dei giovani ha attivato e implementato i servizi a sportello. Fra questi lo Sportello casa, di intermediazione per la ricerca della casa, e lo sportello Terzo settore, per l’avvio dell’auto-imprenditorialità.
È stata inoltre promotrice e coordinatrice dell’Isola dei Giovani, rete regionale dei comuni sardi sulle Politiche giovanili. Nel 2007 ha ideato e progettato il corso “Giovani e Istituzioni, istruzioni per l’uso” organizzato dalla fondazione toscana Promo P. A. che si occupa di ricerca, alta formazione e progetti per la pubblica amministrazione. Nel 2010, è stata docente del corso a Livorno e Lucca.
Da 27 anni si occupa di volontariato organizzando numerose attività, ancora una volta in favore dei giovani, per la promozione e sviluppo dell’individuo, attraverso “Progetto giovani, percorsi di formazione per giovani animatori socio-culturali”, diventato successivamente un progetto nazionale; “Progetto management”, finalizzato all’auto-imprenditorialità giovanile attraverso l’associazionismo; “Progetto formazione quadri dirigenti”, per lo sviluppo della professionalità nel settore educativo-sociale-sportivo.
Ha collaborato con il servizio diocesano pastorale giovanile, il Serd, l’Ufficio distrettuale dei servizi sociali per i minorenni. Dal 2001 al 2008 ha ricoperto il ruolo di presidente provinciale U. S. Acli, di membro della presidenza regionale Acli e di dirigente Nazione U.S. Acli.
Tra il 1999 e il 2009 ha svolto attività di docente di Gestione e aspetti tributari delle associazioni e dei circoli culturali e sportivi nel corso di laurea Interfacoltà in Scienze motorie e, tra il 1999 e il 2001, ha svolto attività di collaborazione all’attività scientifica dell’insegnamento di “Psicologia dello Sport”, con il professor Marco Guicciardi, su Obiettivi e metodi di promozione delle attività motorie non competitive per lo sviluppo armonico dei giovani e delle comunità, presentato in un ciclo di incontri scientifici e culturali nel dipartimento di Psicologia.
Nel 2000, ha svolto attività di docenza nel corso per capi equipe su: organizzazione eventi, comunicazione verbale e non verbale, gestione delle criticità all’interno del gruppo di lavoro, il ruolo del leader all'interno del Centro di volontariato per l’accoglienza giubilare romana. All'interno dell'Enaip Sardegna ha ricoperto le funzioni di responsabilità della gestione della formazione e dei percorsi formativi on line in veste di supporto agli utenti on line (dal 2000 al 2005) e di responsabile della segreteria con attività di gestione e coordinamento della segreteria di Direzione e Presidenza regionale Sardegna e di gestione delle Pubbliche relazioni (2004/2005).
Fra gli incarichi della dottoressa Noli

2008/09 Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Scienze della Formazione - Comune Ca - Ufficio scolastico regionale: promotrice e coordinatrice del progetto  “Innovazione e creatività come risorsa emergente” ciclo di seminari indirizzati ai giovani di età fra i 15 e i 32 anni
Comune di Ca - Comando Regione Carabinieri - SERD - Scuole medie secondarie: promotrice di incontri sul tema “Legalità eprevenzione delle tossicodipendenze”.
2006/09 Rete Iter (Innovation, Territory, Energy and Resources for a new welfare) membro del direttivo.
La dott.ssa Noli ha inoltre frequentato:
· il corso in Gestione delle risorse umane (2004) - Fadol, Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale, Commissione Europea DG, Occupazione e Affari Sociali,
· il corso in Attività di informazione e comunicazione in rete. Progettare interventi in coerenza con i documenti di programmazione e finanziamento; progettare un intervento formativo; scegliere ed utilizzare i principali modelli progettuali; metodologie e strumenti per la gestione dei progetti di formazione; organizzare le risorse umane, tecnologiche e finanziarie (2003)  - Fadol, Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale, Commissione Europea DG, Occupazione e Affari Sociali,
· il corso in Gestione risorse umane, coaching e sviluppo collaboratori, negoziazione, selezione personale, gestione gruppi di lavoro, teorie e modelli della comunicazione, la consapevolezza (2002). Fadol, Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale, Commissione Europea DG, Occupazione e Affari Sociali,
· il Master in Storia e metodologia della comunicazione (1998) - European School of Economics, Cagliari,
· il Master in Comunicazione e gestione d'impresa (1998) - European School of Economics, Cagliari,
· il Seminario intensivo di specializzazione ed approfondimento sulla comunicazione efficace Parlare in pubblico: una nuova tecnica dell’argomentazione tenuto dal professor Bernardo De Muro.