I ciuffi del leccio scarmigliati dal vento graffiano con insistenza la
finestra di Vittorio, ed annunciano con puntualità un nuovo pomeriggio uggioso
nella cittadina di Maisoli.
Avveniva infatti, da diversi anni, che nella piccola cittadina un tempo
ridente e lussureggiante che tutte le mattine fossero allietate da un bel sole
ma sul far del meriggio, quando tutti rincasavano nervosamente tra i clacson
tonanti e tanta voglia di staccare la spina dal lavoro e dalla scuola, ecco che
i primi lividi imbronciati deturpavano l’azzurro del cielo. Mentre Vittorio,
Ignis, Tindaro, Antonio e gli altri bimbi della V° ascoltavano rapiti la
lezione della maestra Sofia non potevano non osservare con un po’ di delusione
che nel momento in cui iniziava la loro libertà dalle lunghe ore di lezione,
proprio sul più bello, ecco proprio allora il sole intimidiva dietro una spessa
coltre grigia. Un giorno Dionigi, che tra tutti i bimbi era il più studioso e
attento, ma anche il più insofferente al cattivo tempo, sbottò : “ Basta!
Finite le scuole elementari io cambierò città. In questa città non vedremo più
il sole”. “Dionigi ma che dici? Questa città è bellissima, abbiamo tutto,
dobbiamo soltanto accontentarci di giocare in casa. Però vedi che bel sole
splende in questo momento?” disse stupito Ignis che mai aveva sentito Dionigi
concitarsi tanto se non all’interrogazione. “ Sì Ignis, dici bene, infatti è
soltanto quando stiamo tutti assieme che riusciamo a vedere il sole, poi una
volta fuori corre dietro una tenda di nuvole. Immagina che succederà quando non
ci vedremo più. Tindaro che è tanto povero e non ha potuto fare le vacanze al
mare ha passato tutta l’estate in casa. In quella piccola casetta umida che un
lampo di sole avrebbe di certo reso almeno più accogliente tanto da non fargli
rimpiangere il sole della sua Sicilia”.
Proprio come aveva osservato Dionigi anche quel giorno al trillo
dell’ultima campanella il cielo si corrucciò e pianse per l’intero giorno,
proprio dal momento in cui gli undici bimbi si rivolsero gli ultimi saluti
prima di rincontrarsi l’indomani.
Vittorio specchiava le sue rosse lentiggini sul dvd della Play Station
e mentre le vedeva annegare nel latte della pelle corrugata da uno dei suoi
ingegnosi pensieri considerò che dopotutto non c’era niente di male
nell’ottimizzare le ore di studio a vantaggio di una bella partitella con suo
fratello. Prese allora un quaderno e fregò la penna con insistenza tanto da
farsi venire un polso paonazzo, ma ne era valsa la pena visto che ora
l’inchiostro era completamente esaurito e si poteva incidere sul foglio bianco
tutto quel che la dolce maestra Sofia avrebbe preteso durante il compito in
classe, sarebbe stato sufficiente mettere il foglietto in controluce. Vittorio
non era nuovo a queste sapienti astuzie dalle gambe corte che invariabilmente
gli facevano fare la figura dell’oro di Bologna durante l’interrogazione,
quando la maestra più divertita che furente gli ripeteva: “ Bambino mio, se tu
usassi per studiare un decimo del tempo che dedichi a evitare l’ostacolo
saresti bravo come Dionigi. Non posso neppure rimproverarti per la
pigrizia!!!!!”. La verità è che Vittorio si divertiva un mondo quando la sua
mente creava, e la noia causata da quella
pioggia perenne era una sfida alla sua infaticabile mente.
L’indomani mattina la maestra fece come al solito l’appello e notò che
Luca era ormai assente da diversi giorni. “Qualcuno ha sentito Luca ? Sono
tanto preoccupata, è già assente da tre giorni”. “Non si preoccupi maestra
Sofia” disse Andrea, “vedrà che Luca ha solo un leggero raffreddore. Guardi il
cielo, è poco nuvoloso, altrimenti pioverebbe”. Andrea era una bambina tanto
riflessiva; si era convinta che i genitori le avessero dato un nome da
maschietto perché volevano una figlia speciale quindi oltre che essere in
continua competizione con Dionigi aveva la particolarità di scrivere tutto al
contrario ma anche di mandarlo giù a memoria e ripeterlo facendo letteralmente
impazzire la maestra che pazientemente la esortava a fare la metà di ogni
compito…ma per il verso giusto! I bimbi non sembrarono dare rilievo alle
osservazioni di Andrea ma in fondo l’avevano pensato un pò tutti. La maestra
nascondeva un po’ di perplessità per il fatto che i compagnetti non fossero in
contatto tra loro fuori dalle lezioni, mai una telefonata o un pomeriggio
trascorso a giocare assieme, mai uno sorriso cordiale tra i genitori sempre di
corsa all’entrata e all’uscita. Si chiedeva se davvero le sue nozioni potessero
servire a qualcosa se poi venivano chiuse gelosamente tra le mura domestiche
temeva che il senso d’amicizia potesse morire soffocato da una tabella di
marcia estenuante. Vedeva il suo piccolo Emil pensare al pallone durante il
corso di violino e ai compiti durante la gita domenicale con gli scout, ma sì,
in fondo tanti stimoli possono soltanto favorire l’amicizia, si consolava la
scrupolosa Sofia.
Gli undici bambini erano tanto diversi tra loro, provenivano da
diverse realtà sociali, diversi contesti ambientali ma una cosa gli accomunava:
il grande affetto per la maestra Sofia e il senso quasi di protezione verso di
lei, dopo che la guerra in Medioriente le
aveva rubato la metà del cielo ma le aveva fatto dono di Emil, un
paffuto pargolo dalla pelle d’ebano salvato dall’eroico marito e che ormai
aveva già sei anni e ogni mattina all’ora della ricreazione correva in aula
dalla mamma a darle un grosso bacio schioccante. I bimbi avrebbero fatto
qualsiasi cosa per vederla sorridere nuovamente di cuore, così come i primi
anni di scuola. Ma quel giorno era impossibile, ricorreva ormai il secondo
anniversario di quella scomparsa. Fu quella mattina che la piccola Irene,
vezzosa nel suo impeccabile grembiulino perennemente inamidato, chiese alla
pensierosa insegnante: “Maestra Sofia perché anche oggi che siamo tutti assieme
grandina così tanto?”. Sofia pensò alle riflessioni di Dionigi ed Andrea e
collegò subito il fatto che Emil non fosse salito a darle il solito saluto.
Penso che il bambino potesse esser andato a lasciare un fiore sulla tomba del
papà nel camposanto della città così come era successo l’anno precedente. Si
precipitò allora fuori dalla scuola pregando i bambini di stare buoni in
silenzio per non destare l’attenzione delle altre classi e creare troppa
confusione. I bambini sulle prime obbedirono pazientemente finché il fumantino
Vittorio affermò perentoriamente che lui sarebbe stato in grado di setacciare
l’intera città fino a trovare il bimbo, ma Gaia, che aveva tre fratellini più
piccoli era la più responsabile di tutti e propose di dividersi per non creare
confusione e di ritrovarsi lungo il fiume, vicino ai boschi, dopo un’ora
esatta. Omar propose che ognuno chiedesse aiuto ai propri nonni dal momento che
i genitori si trovavano tutti al lavoro. Uscirono così dalla scuola ma Ornella
mentre attraversava il semaforo incontro una vecchina che inciampando sulla
pesante sporta della spesa cadde a terra rovinosamente. La bimba istintivamente
la prese sottobraccio e l’accompagnò a casa. Trascorse un’ora esatta e Ornella
arrivò all’appuntamento senza esser riuscita neppure a mettersi sulle tracce
del piccolo Emil. Stringeva tra le mani una cordicella arancione avuto in dono
dalla vecchina. La fanciulla per timidezza non le chiese cosa mai potesse farne
ma la anziana signora la anticipò dicendo: “Vedrai bambina mia dal cuore grande,
capirai quando farne buon uso”. Anche Dionigi arrivò trafelato all’appuntamento
dopo essersi trattenuto a lungo con un anziano non vedente che aveva perso
l’orientamento. Anche lui non sapeva come giustificarsi davanti ai compagnetti,
loro certamente si aspettavano che il primo della classe avrebbe trovato una
soluzione. Ma Dionigi continuava a fissare un nastro rosso che il signore cieco
gli aveva dato in segno di gratitudine. Pensò fosse un oggetto perfettamente
inutile ma ringraziò copiosamente per delicatezza. Irene tornava a mani vuote
ma fiera di aver aiutato un piccolo orfanello a divincolarsi dagli insulti
provocatori di alcuni teppisti in erba. Il bimbo rom le fece dono di un lungo
elastico arancio dicendole: “Vedrai, ti porterà fortuna”, ma la bimba leziosa
lo impiegò come fascia per i lunghi capelli biondi. Antonio si vergognava di
confessare che la sua ora era trascorsa velocemente mentre nel ristorante del
nonno si era trattenuto a bighellonare con una simpatica nonnina che dalla
morte del marito riusciva a scambiare due parole soltanto nei locali pubblici.
La signora volle sdebitarsi regalando ad
Antonio un bell’orologio con una lunga catenella gialla, guardando il quale il
bimbo capì di essere in terribile ritardo e si precipitò all’appuntamento, ma
non vi trovò nessuno, scorse soltanto Luca all’orizzonte che tomo tomo arrivava
con la coda tra le gambe temendo che i compagni l’avrebbero rimproverato per
aver perso tempo a regalare la sua merenda ad un clochard. Il barbone non
voleva che il bimbo andasse via a mani vuote e ritenne opportuno regalargli una
lunga sciarpa verde, sua unica ricchezza. Gaia trovò per strada un portafogli
con pochi euro ma che conteneva i documenti di un’anziana signora, si recò a
casa sua pensando che certo sarebbe stata disperata dopo aver perso i pochi
soldi che le rimanevano. La vecchia volle ricompensarla con quel poco di cui
disponeva: un gomitolo di lana color indaco. “Vedi piccola mia questo è il
colore che io preferisco, quello del crepuscolo, il momento in cui finalmente
riposo e non penso ad altro che al nuovo giorno che verrà”. Anche Omar
raggiunse finalmente gli altri lungo la riva del fiume dopo aver aiutato un
vecchio vedovo in carrozzella a salire difficoltosamente sul tram. Il signore
in gesto di gratitudine gli aveva regalato delle resistenti stringhe di color
violetto che Omar ripose velocemente dentro lo zainetto mentre correva verso i
compagni. Il tempo intanto peggiorava e Vittorio, Ignis, Tindaro e Andrea
sbagliando strada finirono sull’altra sponda del fiume. Fu allora che si udì il pianto disperato di un bimbo
che la corrente stava trascinando via. I bimbi pensarono che fosse necessario
agire, e subito. Trassero dagli zainetti tutto quel che potesse essere utile a
costruire un ponticello che li collegasse tra loro e che potesse permettere al
piccolo Emil di ancorar visi trattenendone saldamente un’estremità e lanciando
l’altra ai compagni sull’altra sponda.
Dionigi lanciò il nastro rosso.
Irene l’elastico arancio.
Antonio la lunga catenella gialla.
Luca la sciarpa verde.
Ornella la lunga cordicella azzurra.
Gaia dipanò il suo gomitolo color indaco.
Omar lanciò le sue stringhe
colorate di violetto
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