venerdì 11 ottobre 2013

MAURO PILI. LA CULTURA NON E' DI DESTRA E NON E' DI SINISTRA

 
MAURO PILI e RITA LEVI MONTALCINI 

Mauro Pili e il mondo della Cultura.

Talvolta il passo dall’ideale all’ideologia è brevissimo. Ci si rende conto in particolar modo osservando quello iato prodigioso che sicuramente si crea quando all’orizzonte politico si profila con maggior nitore l’obiettivo elettorale. Allora si acuisce l’aspetto filantropico di tanti esponenti attivi, specie dell’ultimo’ora, quelli tanto velleitari quanto poco pragmatici, quelli che minimizzano il passato trascurando che l’escamotage culturale è una cartuccia che, più o meno insistentemente, hanno giocato tutti in passato, e in un passato abbastanza recente. Da attori culturali, in qualità di Insegnanti, ma prima ancor da Ricercatori storico scientifici ci appassiona sondare quale sia il mood reale degli operatori culturali Sardi circa lo scenario politico di questi giorni. Il nostro piccolo sondaggio - limitato al solo ambito culturale, quello che ci compete -  conferma quanto è sotto gli occhi di tutti l’interesse dell’on. di Unidos Mauro Pili.
-          «Mauro Pili ha un dono particolare nel riuscire ad unificare quella che noi chiamiamo Cultura di Destra e cultura di Sinistra», questa è l’opinione di I. Z. neo laureato in lettere, tessera PD che si dice colpito da alcuni incontri pubblici di Pili durante i quali il deputato di Unidos «è riuscito a citare con ferree argomentazioni sia Lussu che Gramsci. Vorrei vedere quanti dall’altra parte, che poi è la mia e mi piange il cuore a dirlo, dimostrerebbero tanta apertura di vedute».
-          «Mauro Pili meriterebbe un monumento: è riuscito a restituire Grazia Deledda agli Italiani! - dichiara un gruppo di bibliotecarie del capoluogo – ci ha colpito il suo modo di dare nuovo nerbo alle istanze tradizionali della nostra cultura, quali patria, religione, famiglia, in una parola il suo modo di ricordare le imprese capitali della Brigata Sassari. Dovete sapere che come operatori culturali veniamo spesso scippati da personaggi in vista che fagocitano i nostri progetti battezzandoli come propri. Questo non va bene. Ciò che ci piace di Pili è che non ha una posizione pregiudiziale e sotto il profilo culturale sa capire cosa è bene, sia che si tratti di contenuti e figure che la consuetudine sarda vuole di Destra o di Sinistra».

Ben due punti nevralgici sono stati toccati dagli intervistati: la cultura non è di Destra e non è di Sinistra e la triste moda basso culturale che si delinea ultimamente: quella di fare dell’ironia attorno all’eroicità delle azioni dei Sassarini.
La cultura non è di Destra, la cultura non è di Sinistra, questo è ciò che dimostra nei fatti l’impegno culturale, non esattamente da ascriversi a mirabolanti disegni elettorali dell’ultim’ ora, del deputato Unidos. Unidos: uniti nell’intendersi parte unita di un unico progetto, anzitutto culturale. Al di là dell’uso residuale, da un punto di vista politico di basso profilo, che si può fare di una simile dicotomia culturale, da sempre considerata da Pili più ideologica che reale,  occorre una volta per tutte osservare che chi cerca di attaccare con l’arma spuntata del sarcasmo i valori identitari di un popolo per crearne di altri sta ipotecando il futuro di una generazione soltanto nel tentativo di far passare inosservata la propria inattitudine alla pratica della res publica, vuole dissimulare goffamente la propria mancanza di formazione ad un passo dall’analfabetismo civico di ritorno. È cosa recente, infatti, il proliferare di una moda basso culturale che sbeffeggia in mille modi il valore identitario di Dio, Patria e Famiglia. Ci chiediamo, con preoccupazione crescente, perché? Perché riescono meglio alcune boutade estemporanee? Forse perchè si crede che svuotando la mente dei giovani da valori solidi è più facile riempirla di segatura facilmente manipolabile all’uopo? È giusto, ci chiediamo, essiccare in un popolo l’attaccamento alle proprie eroiche origini cercando di convincerlo che i giovani soldati della Brigata Sassari versarono inutilmente il proprio sangue come dei burattini acefali? Non è questo il luogo per approfondire il maldestro uso delle categorie storiche che sfociano in vergognosi giudizi anacronistici di chi professa l’esistenza di una cultura tassativamente bipolare, creando, o cercando di creare, di fatto, una virtuale scissione tra autori e tradizioni di pensiero che non necessariamente dicono quanto viene strumentalmente divulgato.
La questione è questa: il tema identitario è affare serio sebbene venga ciclicamente sfruttato a scopo personalistico, per smerciare libercoli di scarsa attendibilità storica, o a scopo politico, da velleitari di ultima genitura, e si sa, i figli dell’amore troppo maturo danno spesso i loro dolorosi problemi.

Ilaria Muggianu Scano - Mario Fadda






Nobel 2013 per la Letteratura alla Maestra di storie brevi Alice Munro

(AGI) - Stoccolma, 10 ott. - Il premio Nobel Letteratura 2013 e' andato alla scrittrice canadese Alice Munro "maestra delle storie brevi contemporanee". Lo ha annunciato l'Accademia Reale di Stoccolma. E' molto raro che viene consegnato il Nobel della letteratura a una scrittore di storie brevi. Nata a Wingham, in Ontario, nel 1931, Munro, 82 anni, e' considerata uno dei maggiori scrittori di racconti vivente. La sua prima raccolta, La danza delle ombre felici, pubblicata nel 1968, vinse il Governor General's Award. Lo stesso premio le fu conseguito per le successive raccolte, Chi pensi di essere" del 1978, e "Il percorso dell'amore" del 1986. Nel 1994 e' stata nominata membro dell'Ordine dell'Ontario e nel 2010 Dama dell'Ordine francese delle Arti e delle Lettere. E' stata anche ribattezzata il 'Chekhov' canadese, per le sue storie intime e delicate, studio psicologico di personaggi e di ambienti, dominati dall'introspezione e dalla simbologia. "Sapevo che ero tra i candidati, ma non avrei mai pensato di vincere. Sono tremendamente sorpresa". Alice Munroe, raggiunta telefonicamente da The Canadian Press, ha espresso tutto il suo stupore per il premio Nobel della Letteratura appena assegnatole dall'Accademia Reale di Stoccolma. L'Accademia aveva tentato di darle personalmente la bella notizia ma non l'aveva trovata e le aveva lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica. Le' stessa aveva per due volte annunciato il suo ritiro dalla scene letterarie. La prima volta l'aveva annunciato nel 2006, ma poi aveva pubblicato la sua ultima storia "Dear Life". La scorsa estate era tornata a ripetere la sua intenzione di mettere a riposo la penna. "Non ci saranno alte storie dopo "Dear Life". Potete scommetterci".
  Munro e' la seconda persona di orgine canadese a vincere l'ambito riconoscimento letterario, il primo fu Saul Bellow nel 1976 che pero' aveva quasi sempre vissuto negli Usa ed era considerato un autore americano. "Sono stupefatta e allo stesso tempo grata - ha fatto sapere in un comunicato divulgato dal suo editore Douglas Gibson - e sono particolarmente contenta che questo premio fara' felici molti canadesi". Alice Munro e' la tredicesima donna che ha ricevuto dal 1901, anno della sua istituzione, il premio Nobel della Letteratura. Nel 1926 fu Grazia Deledda a riceverlo, ma la prima in assoluto fu la svedese Selma Ottilia Lovisa Lagerlof. Dopo di lei seguirono la norvegese Sigrid Undset nel 1928, la statunitense Pearl Buck nel 1938, la cilena Gabriela Mistral nel 1945, nel 1966 la tedesca Nelly Sachs, la francese Nadine Gordimer nel 1991, l'afroamericana Toni Morrison nel 1993, la polacca Wislawa Szymborska nel 1996, l'austriaca Elfriede Jelinek nel 2004, la britannica Doris Lessing nel 2007, la tedesca Herta Muller nel 2009. (AGI) .

giovedì 10 ottobre 2013

Montecitorio. MAURO PILI CONTRO I POTERI FORTI: Il coraggio e la coerenza della Politica Nuova di Unidos.

MAURO PILI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, avrò modo, intervenendo su questo provvedimento, di spiegare le ragioni per le quali ho deciso, nei giorni scorsi, di votare contro la fiducia a questo Governo. È evidente che ci sono elementi in questo provvedimento, in questo decreto, che non solo confermano le ragioni di fondo, ma anche una scelta, politica, di non condividere le strategie economiche, le azioni, strabiche, di questo Governo verso alcune parti importanti del nostro Paese, che eludono questioni fondamentali, come quella della coesione, del riequilibrio e, mi consenta, signor rappresentante del Governo, delle intromissioni dei poteri forti, che condizionano radicalmente l'azione anche di questo Governo. 
Credo che sia necessario per esaminare questo provvedimento guardare la prima parola che voi riproducete nel titolo del decreto, ovvero l'urgenza, cioè ponete alla base di questo provvedimento il tema dell'urgenza. Insieme a questa, però, emerge la precarietà e la totale inconsistenza, strategica ed economica, di questo provvedimento. Quando parlate di urgenza, rappresentate nel modo più plastico, più evidente, la totale assenza di una strategia politica, che emerge in tutto il provvedimento; un rincorrersi di provvedimenti, oggi sospesi, domani annunciati, che fanno di questo Governo un Governo dei rinvii, incapace di affrontare, così come avrebbe dovuto – un Governo di larghe intese, di grande disponibilità politica del Parlamento – sostenere scelte radicali per il nostro Paese.
Da anni, e questi ultimi Governi – quello tecnico prima delle larghe intese e quello politico dopo – hanno abusato e lautamente utilizzato il termine «urgente». Monti usò il termine «urgente» per imporre, anticipandola, l'IMU rispetto alla previsione del 2014, ma anche l'introduzione dell'IMU per la prima casa in contraddizione con i provvedimenti precedenti. Letta usa, dal suo canto, la corsia d'urgenza, anch'essa del decreto, per togliere l'IMU e per introdurre e cambiare nome con la service tax. La sostituzione dell'IMU con la service tax è la rappresentazione evidente, più eloquente di un Governo che diventa di fatto inadeguato a dare risposte strategiche e lungimiranti per il nostro Paese e per alcune parti del Paese che sono marginali e che vengono marginalizzate da questo tipo di atteggiamento. 
Un Governo che tappa un buco, facendone, per tapparlo, uno più grande non in grado di dare una risposta compiuta al tema, strategico del Paese, che tutta l'economia mondiale affronta e, cioè, quello del debito pubblico. Noi continuiamo a perseguire la politica del tappabuchi, senza affrontare, invece, la questione centrale del debito pubblico e, anzi, la eludiamo, forse, per ragioni che, come dicevo prima, appartengono più ai poteri forti che a quelli, invece, del buon governo e del governo della cosa pubblica. Un Governo che brancola nel buio: ci sono elementi cardine di questa azione che, apparentemente, viene descritta anche nei contesti internazionali, come di un Governo decisionista; in realtà, se uno affronta e guarda dentro i singoli provvedimenti, si accorgerà che, invece, c’è una totale continuità con chi ha elargito miliardi e miliardi alle banche per tappare i buchi delle banche stesse, senza, invece, occuparsi di tappare quel grande buco del debito pubblico del nostro Paese. 
Un Governo che cambia il nome alle tasse, ma che le conferma e le aumenta come si è visto in queste ultime settimane per quanto riguarda la stessa IVA che avrà un'incidenza, anch'essa, sul sistema economico del Paese, dei consumi e, conseguentemente, delle produzioni assolutamente rilevante. Così com’è evidente che siamo un caso rarissimo nel contesto internazionale; siamo uno Stato che usa il debito per incrementare il debito.
Notoriamente il debito deve essere un investimento del Paese per uscire dalla morsa stessa del debito; nel nostro Paese, invece, siamo riusciti a ingenerare un sistema per cui il debito ha incrementato il debito stesso. In 15 anni, e quindi non contestualizzo, siamo riusciti ad abbattere il debito solo del 17 per cento rispetto al PIL, per intenderci poco più dello 1 per cento all'anno. Nel 2010 abbiamo pagato 70 miliardi di euro di interessi rispetto al debito pubblico, nel 2011 abbiamo pagati 80 miliardi di euro, nel 2012 90 miliardi di euro e nel 2013 abbiamo sfondato il muro dei 90 miliardi di euro di interessi all'anno. Basta solo un dato per capire di cosa, concretamente, stiamo parlando. Stiamo parlando di un rapporto, per esempio, con il Servizio sanitario pubblico. Noi paghiamo ogni anno 130 miliardi di euro di sanità pubblica, di Servizio sanitario nazionale; oppure, il gettito dell'IVA: 102 miliardi di euro di IVA; noi consumiamo il prelievo fiscale dell'IVA totalmente per pagare il debito attraverso il pagamento degli interessi. 
Quindi, una rilevanza che in questo provvedimento dimostra ancora una volta che non vi è la capacità di affrontare la questione quando ci sono riserve come quelle che si sono sentite in questa Aula rispetto al taglio dell'IMU, che può esser una visione ideologica da una parte e dall'altra, ma che concretamente serviva per rimettere nelle tasche dei cittadini italiani denari per incrementare i consumi e conseguentemente dare delle risposte in termini di produzione in un sistema economico che si rimette in marcia. 
In realtà, questo provvedimento d'urgenza che oggi esaminiamo, è un provvedimento che si inquadra nella consuetudine di questi ultimi decenni cioè del finto, consueto e consunto gioco dei conti pubblici delle tre carte. Qua metto, qua tolgo e viceversa. Oggi, il risultato è eloquente, si può guardare con numeri che sono nella loro rilevanza assolutamente drammatici per il nostro Paese. Il risultato è che abbiamo messo più tasse che hanno significato meno consumi, meno consumi hanno significato meno produzione, meno produzione ha significato meno prodotto interno lordo, meno prodotto interno lordo ha significato meno entrate, meno entrate hanno significato più debito, più debito ha fatto, come risultanza, più tasse. È evidente che siamo di fronte a un risultato politico,
strategico, a un percorso di questi mesi; la continuità con il Governo Monti, per quanto mi riguarda, è eloquente, anche nella mia scelta politica, sia allora che oggi di confermare la mia contrarietà a questo tipo di azione priva di strategia, di lungimiranza, di faro che possa tracciare una strada, una via d'uscita per la ripresa economica del nostro Paese. 
Manca in questo provvedimento – considerato che rimandiamo anche una ennesima rata su cui disporre e decidere e su cui la contesa politica ancora si concentrerà – la volontà di affrontare, lo ribadisco, i temi centrali della ripresa economica e si porrà ancora il tema dell'IMU fra qualche settimana, fra qualche mese. Manca cioè l'inversione di tendenza, quella che un Governo di larghe intese avrebbe dovuto proporre al Paese e proporre per svincolarsi da quei condizionamenti e quelle pressioni non soltanto interne che arrivano dai poteri forti e dalle banche, ma anche e soprattutto da quelle internazionali, da quei Paesi che vorrebbero continuare a mantenere il cappello sulle decisioni di questo Parlamento e del nostro Paese.

Serviva un piano straordinario per abbattere il debito pubblico, questo io non mi stancherò in quest'Aula di ribadirlo, di ripeterlo, perché credo che ci siano le condizioni per farlo, ma si tergiversa solo per continuare ad avallare politiche che in qualche modo sono tutte funzionali al sistema bancario, al sistema del credito internazionale, a quel condizionamento che noi continuiamo a subire. Bastano due dati: sono stati censiti tutti gli atti parlamentari di audizioni dell'Agenzia del demanio e si parla di 1.700 miliardi di euro di beni patrimoniali del nostro Stato. 
Ipotizziamo che tutti i 1.700 miliardi di euro non siano spendibili, non siano utilizzabili e non siano vendibili, ma è altrettanto vero che se questo dato, 1.700 miliardi, è comparato con i 2 mila miliardi di euro di debito pubblico è facile pensare che si possa rinvenire nei 1.700 miliardi una quota, per esempio 300-350 miliardi – come dicono esponenti di primo piano dello stato finanziario ed economico che hanno avuto anche grande ruoli, cito per tutti il Ragioniere generale dello Stato, Monorchio, che ha detto che la cifra di 300-350 miliardi sarebbe quella ottimale per riportare il rapporto debito-PIL sotto il 100 per cento – se si ha il coraggio di fare azioni strategiche, come per esempio quella di immettere sul mercato, anche attraverso società quotate in Borsa, con l'apporto non solo di capitali pubblici, ma anche di quelle società correlate – cito per tutti L'ENEL, cito per tutti l'ENI, cito per tutti Finmeccanica –, società che hanno capacità e che costituiscono la polpa del sistema produttivo del nostro Paese e che invece non hanno la capacità di incidere su questo sistema. 
Ebbene, lì si potrebbe intervenire, dicono i tecnici, dicono gli economisti, per abbattere gli interessi da 90 miliardi all'anno tagliandoli di 15-18 miliardi di euro all'anno. Ecco, qui è il tema dell'IMU, perché porre in essere un'azione fondamentale sul piano economico significava tagliare il debito pubblico, significava mettere in condizione non di ottemperare a un disposto da campagna elettorale per cui restituiamo l'IMU; il concetto fondamentale era quello di dire: restituiamo i 4 miliardi dell'IMU, tagliamo i 4 miliardi dell'IMU del 2013 sulla prima casa e consentiamo ai cittadini italiani di far
ripartire, per quanto di loro competenza, la spesa, i consumi, e conseguentemente le produzioni; conseguentemente far partire, però, un piano infrastrutturale del Paese, a partire dalla banda larga, che in qualche modo oggi è il tema nevralgico di un Paese che è in ritardo e che non riesce ad affrontare in termini cogenti i temi dello sviluppo innovativo e moderno del Paese e, aggiungo, di riequilibrio del nostro Paese. 
Ci sono aree del Paese – cito soltanto un dato del riparto dei fondi infrastrutturali del nostro Paese – dove si evince la disparità di trattamento. Non c’è un problema di risorse finanziare, c’è una discriminazione palese nella gestione delle risorse finanziarie, basti soltanto un dato: un cittadino della regione Calabria ha preso in questi ultimi 15 anni, in termini pro capite, 23 mila euro di infrastrutture, un cittadino sardo ne ha presi 3.400. Il tema non è che non ci sono le risorse, il tema è che vengono ripartite e spartite su altri tavoli dove la coesione e l'equilibrio del nostro Paese è assolutamente assente. 
E il Documento economico-finanziario approvato nei scorsi da questo Parlamento ne è la dimostrazione ancora lampante della conferma di una prassi ormai consolidata di gestire i fondi pubblici infrastrutturali e di coesione in maniera assolutamente discriminatoria. 
Di tutto questo, però, di questo piano straordinario, non c’è traccia. Non si pone il problema di chi non lavora. Il tema oggi è il cuneo fiscale, che riguarda chi lavora, ma il tema di chi non lavora o di chi è uscito dal sistema del lavoro non può essere risolto soltanto con il cuneo fiscale. Bisogna far ripartire l'economia, e questo si può fare soltanto con un'azione da piano Marshall che possa davvero mettere in campo, così come hanno sostenuto economisti di grande valore nazionale ed internazionale, la partita fondamentale dell'investimento in questi momenti di contrazione grave e di recessione economica. Quindi, bisogna cambiare la strategia: non tasse, ma investimenti in grado di dare risposte alla ripresa produttiva del nostro Paese. Ma a questo vorrei permettermi di aggiungere una partita tutta costituzionale rispetto a questo decreto, che per quanto riguarda il tema delle regioni a statuto speciale conferma la visione strabica, gravemente illegittima sul piano costituzionale, di questo Governo così come del precedente.
Ciò perché, nel momento in cui si introduce, si taglia una parte dell'IMU ma si introduce la service tax, non si tiene conto di quei dispositivi che la Corte Costituzionale ha messo nero su bianco e che l'Avvocatura dello Stato, difendendosi dal ricorso, per esempio, della regione Sicilia e quello più tardivo della regione Sardegna, che hanno posto in essere un richiamo pregiudiziale in cui la Corte Costituzionale ha detto: «Ne consegue l'inapplicabilità dell'IMU alla regione ricorrente (...) perché non rispettoso dello statuto d'autonomia» e, dice la Corte Costituzionale in maniera puntuale nella decisione n.64 del 7 marzo del 2012, che: «il concorso con le regioni a statuto speciale deve avvenire solo attraverso norme di attuazione»; perché lo Stato chiede le norme di attuazione per dare i soldi alle regioni a statuto speciale e non le chiede quando invece li deve prelevare, li deve in qualche modo sottoporre ad una procedura che è sul piano costituzionale da impugnare immediatamente. 
Io ho chiesto ripetutamente con atti di sindacato ispettivo, con una lettera personale al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, che si mettesse in conto la decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l'IMU per le regioni a statuto speciale e in particolar modo per quelle regioni dove la coesione, il riequilibrio erano evidentemente traditi, appunto, dall'atteggiamento che richiamavo prima sul fronte strategico della coesione e della mancata discriminazione per il nostro Paese. 
E poi c’è la partita degli ammortizzatori sociali, una partita non pianificata, una partita che sta diventando un onere sociale giorno dopo giorno sempre più rilevante, che è funzionale anch'essa a drogare il sistema perché non si tiene conto, e cito per tutti, il fallimento politico, economico, industriale di questo Governo e del precedente rispetto a partite industriali come quello della Sardegna e del Sulcis in particolar modo. 
L'Alcoa è stata chiusa e non si è riusciti a trovare una partita che consentisse all'ENEL o che obbligasse l'ENEL, con strumenti di persuasione o di obbligo legislativo, a fornire un contratto bilaterale che consentisse per 15 anni di avere energia a basso costo o meglio a costo uguale a quello degli altri Paesi europei. 
Ebbene, noi a fronte di ciò che abbiamo perso con la chiusura di quella fabbrica, sia in termini di prodotto interno
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lordo sia di produzione su una materia prima come quella dell'alluminio nel settore automobilistico, cito soltanto questo per non andare oltre, abbiamo messo invece in campo un'azione di ammortizzatori sociali, cioè abbiamo detto a quei lavoratori: preferiamo dare un sostentamento assistenziale a voi piuttosto che obbligare l'ENEL, guarda caso ENEL, sponsor primario di fondazioni politiche legate al Presidente del Consiglio e a tanti suoi amici, che viene finanziata proprio dall’ ENEL, dall'ENI e da quant'altri. 
Io mi domando: il Presidente del Consiglio deve tutelare l'ENEL e l'ENI o deve intervenire su una partita rilevante come quella occupazionale, come quella necessaria per dare risposte non in termini assistenziali? Perché, poi, il 31 dicembre scadranno i termini anche assistenziali per quei lavoratori del Sulcis costretti alla cassa integrazione. Ebbene, questo provvedimento riporta un ulteriore incremento dei denari necessari per gli ammortizzatori sociali, necessari e indispensabili; ma è indispensabile la doppia corsia, dove si affrontano i temi sociali ma si affronta anche la partita della ripresa economica, della capacità di far ripartire sul piano industriale questo Paese perché l'economia si regge non sull'incremento delle tasse ma sulla capacità di far ripartire la produzione, perché solo attraverso la produzione ci può essere la dignità dell'uomo, del lavoratore e la ripresa di quel rapporto che invece si è interrotto con regioni come la Sardegna, che è stata anche in questo provvedimento tradita da un provvedimento incostituzionale e illegittimo perché viene meno lo statuto autonomo della nostra isola.