domenica 11 agosto 2013

I giorni di Totò (non Riina) in Sardegna

 “Sono un uomo di mondo…ho fatto tre anni di militare a  Cuneo”. Sono tante le perifrasi-tormentone di Totò entrate nel linguaggio comune ma quella particolarmente cara ai cagliaritani è senz’altro quella nata nel contesto delle vessazioni militari vissute in prima persona nel periodo pre bellico in cui l’attore si chiede se “Siamo uomini o caporali?”, e con un perfetto controllo dell’arte dei guitti, con la caratteristica comicità surreale e irriverente, è pronto a sbeffeggiare i potenti quanto a esaltare i bisogni umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale ma soprattutto a manifestare la propria intolleranza grave verso parvenue di ogni risma, nel preciso intento di menar gramo a tutti i Balanzoni del Belpaese. Siamo a Cagliari, Anno del Signore 1938, le luminarie in Piazza Defenu, la gimcana motociclistica al Campo Dux e le acrobazie nei cieli della squadriglia aerea di Elmas sono da settimane messe a punto per salutare l’incontro nell’Urbe di Hitler e Mussolini: Totò è ancora lo scugnizzo napoletano del rione Sanità, da qualche mese appena legittimato dalla paternità del principe Giuseppe De Curtis, tuttavia quando viene a Cagliari ha già all’attivo una prima produzione cinematografica “Fermo con le mani!” in cui arriva a prendere in giro il Duce. L’episodio non rimarrà privo di conseguenze. Riconosciuto monarca del doppio senso brillante e del gusto del paradosso esplode in  prodezze offensive al pari di quelle difensive, ma durante il Ventennio la critica non è appena una vezzosa schermaglia intellettuale e in caso di dissenso il piombo del linotype rischia di passare a quello molto meno metaforico della censura fascista. Reduce da una tournèe a Massaua e in altre città africane, Totò arriva a Cagliari con la sua “Compagnia di fantasie comiche”, quando Hitler e Mussolini si sono appena incontrati a Roma per “suggellare il patto di collaborazione tra due razze create per intendersi”. Inaugurando l’Arena Odeon di via Garibaldi con un copione gustosamente ironico, “Dei due, chi sarà?”, il comico napoletano disegna un personaggio soltanto in apparenza ossequiente alle mode diffuse. Da buon cantore di usi e costumi dello Stivale non può ignorare il valore del ludus nella vita dell’italiano medio, men che meno del sardo trovandosi nel cuore del capoluogo di cui velocemente intercetta verve e sarcasmo, ottimo pane per i suoi denti. L’inafferrabile carica eversiva di Totò arriva a prendere in giro gerarchi e ducetti nell’idioma locale ma il climax roboante è raggiunto con la battuta sarda al fulmicotone “T’happu frigau, o balossu!”, captata in is prazzas durante il suo rituale giro per dare cibo a cani e gatti randagi. Se il regime aveva reso i satirici dei tristi menestrelli dalla bocca stringata Totò con l’abilità del guitto continuava a trasformare creature terrene destinate a sorti terrene in creature mitiche destinate a sorti mitiche in un affresco dell’Italia popolare, delle sue origini, i suoi drammi, le vittorie e le pagine da dimenticare.




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